Читать книгу «Le avventure di Cipollino / Приключения Чиполлино. Книга для чтения на итальянском языке» онлайн полностью📖 — Джанни Родари — MyBook.
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Rispondete alle domande:

1. Da quando il sor Zucchina voleva avere una casa di sua proprietà?

2. In che modo il sor Zucchina si procurava mattoni e li risparmiava?

3. A chi si rivolgeva il sor Zucchina pregando di fargli il conto dei suoi mattoni raccolti?

4. Perché lo faceva?

5. Come era la casetta del sor Zucchina?

6. Chi potrebbe starci?

7. In che maniera il sor Zucchina poteva accomodarsi nella sua casetta?

8. Che girotondo ballò un monellino sul tetto della casetta?

9. Cosa faceva il sor Zucchina per rabbonire una schiera di ragazzi?

10. Mentre il sor Zucchina stava parlando con Cipollino, chi arrivò in carozza tirata da quattro cavalli?

11. Descrivi questo personaggio imponente e ne elenca tutti i suoi titoli.

12. Cosa non piacque al Cavalier Pomodoro?

13. Di che cosa era sdegnato?

14. Di che cosa fu incolpato il sor Zucchina dal Cavalier Pomodoro?

15. Chi rispondeva alle domande del Cavalier Pomodoro, rivolte al sor Zucchina?

16. Perchè il Cavaliere diventò furibondo?

17. Come mai il Cavalier Pomodoro si mise a piangere?

18. Cosa fece Cipollino dopo la partenza del Cavalier Pomodoro?

Capitolo III
Un Millepiedi pensa: che guaio portare i figli dal calzolaio!


Cipollino cominciò a lavorare nella bottega di Mastro Uvetta, e faceva molti progressi nell'arte del ciabattino: dava la pece allo spago, batteva le suole, piantava i chiodi negli scarponi, prendeva le misure[34] ai clienti.

Mastro Uvetta era contento e gli affari andavano bene. Molta gente veniva nella sua bottega solo per dare un'occhiata[35] a quello straordinario ragazzetto che aveva fatto piangere il Cavalier Pomodoro.

Così Cipollino fece molte nuove conoscenze.

Venne prima di tutti il professor Pero Pera, maestro di musica, con il violino sotto il braccio. Lo seguiva un codazzo di mosconi e di vespe, perché il violino di Pero Pera era una mezza pera profumata e burrosa, e si sa che i mosconi perdono facilmente la testa[36] per le pere.

Più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l'allarme[37]:

– Professore, faccia attenzione: sul violino c'è un moscone.

Pero Pera interrompeva il concerto e con l'archetto dava la caccia[38] al moscone. Qualche volta un bacherozzo riusciva a introdursi nel violino e vi scavava delle lunghe gallerie: così lo strumento era rovinato, e il professore doveva procurarsene un altro.

Poi venne Pirro Porro, che faceva l'ortolano: aveva un gran ciuffo sulla fronte e un paio di bafi che non finivano mai.

– Questi bafi – raccontò Pirro Porro a Cipollino – sono la mia disperazione. Quando mia moglie deve stendere il bucato ad asciugare, mi fa sedere sul balcone, attacca i miei bafi a due chiodi, uno a destra e uno a sinistra, e ci appende i panni. E a me tocca starmene tutto il tempo al sole, fin che siano asciutti. Guarda i segni delle mollette.

Difatti sui bafi, a distanze regolari, si vedevano i segni delle mollette.



Venne anche una famiglia di Millepiedi forestieri, cioè il padre e due figli, che si chiamavano Centozampine e Centogambette e non stavano mai fermi un minuto[39].

– Sono sempre così vivaci? – domandò Cipollino.

– Cosa dici mai? – fece il Millepiedi. – Adesso sono due angeli. Li dovresti vedere quando mia moglie gli fa il bagno[40]: gli lava le gambe davanti e loro si sporcano quelle di dietro, gli lava quelle di dietro e loro si sporcano davanti. Non finisce mai e ogni volta ci vuole una cassa di sapone.

Mastro Uvetta domandò:

– E così, gli prendiamo la misura per le scarpe, ai piccolini?

– Per l'amor del cielo:[41] duemila paia di scarpe! Dovrei lavorare tutta la vita per pagare il debito.

– Io, po,i – aggiunse Mastro Uvetta, – non avrei abbastanza cuoio in tutta la bottega.

Date un'occhiata a quelle più rotte, e vedremo di cambiare almeno quelle.

Centozampine e Centogambette si sforzarono volenterosamente di tener fermi i piedi mentre Mastro Uvetta e Cipollino esaminavano suole e tomaie.

– Ecco, a questo bisognerebbe cambiare le prime due paia e il paio numero trecento.

– Oh, quello può andare ancora, – si affrettò a dire babbo Millepiedi, – basterà rimettere i tacchi.

– A quest'altro bisogna cambiare le dieci scarpe in fondo alla fila di destra.

– Glielo dico sempre di non strisciare i piedi. I bambini camminano, forse? Macché: saltano, ballano, strisciano. Ed ecco il risultato: tutta la fila delle scarpe di destra si consuma prima della fila di sinistra.

Mastro Uvetta sospirava:

– Eh, avere due piedi o mille è lo stesso, per i bambini. Sarebbero capaci di rompere mille paia di scarpe con un piede solo.

Infine la famiglia Millepiedi se ne andò zampettando: Centozampine e Centogambette scivolarono via meglio che se avessero le ruote. Babbo Millepiedi invece era un po' meno veloce: infatti era un po' zoppo. Ma mica tanto, poi: era zoppo solo da centodiciassette zampe…

Rispondete alle domande:

1. Come mai Cipollino seppe fare molte nuove conoscenze in così breve tempo?

2. Per quale motivo più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l’allarme?

3. Come usava la moglie di Pirro Porro i suoi baffi che non finivano mai?

4. Per quale ragione il Millepiedi portò i suoi figli dal calzolaio?

5. Che cosa succedeva di solito quando la mamma dei fratelli Millepiedi dava loro il bagno?

6. Quante scarpe ci volevano ai fratelli Millepiedi?

7. A sentir il Millepiedi, in che modo di solito camminano i suoi bambini?

8. Come si chiamano i figli del Millepiedi e come si traducono i loro nomi?

9. Di quante zampe era zoppo il Millepiedi?

Capitolo IV
Il terribile cane Mastino


E la casa del sor Zucchina? Andò a finire che[42] una brutta mattina il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da quattro cetrioli; ma stavolta era accompagnato da una dozzina di guardie. Senza tanti complimenti[43] il sor Zucchina fu fatto sgomberare[44] e nella sua casetta fu messo un terribile cagnaccio, di nome Mastino.

– Così, – esclamò Pomodoro guardandosi attorno con aria di minaccia, – i monelli del paese impareranno a portarmi rispetto, a cominciare da quel monello forestiero che Mastro Uvetta si è preso in casa.

– Bene, bene, – approvò Mastino.

– Quanto a quel vecchio scimunito di Zucchina, imparerà ad opporsi ai miei ordini. Se vuole una casa, c'è un posto per lui in prigione. Là dentro c'è posto per tutti.

– Bene, bene, – approvò di nuovo Mastino.

Mastro Uvetta e Cipollino, sulla soglia della bottega, assistettero a quella scena senza poter muovere un dito. Zucchina si sedette tristemente su un paracarro a lisciarsi la barba. E ogni volta che se la lisciava gli restava in mano un pelo. Così decise di non toccarsi più la barba per non consumarla. Se ne stava seduto sul paracarro zitto zitto, e sospirava, perché avrete già capito che Zucchina aveva una grande riserva di sospiri.

Pomodoro rimontò in carrozza. Mastino si mise sull'attenti[45] e gli presentò la coda.

– Tu, fai buona guardia, – comandò il Cavaliere. – Diede una frustata[46] ai quattro cetrioli e la carrozza ripartì.

Era una bella giornata d'estate, molto calda. Mastino passeggiò per un po' davanti alla casetta, in su e in giù, dimenando la coda per darsi delle arie.[47] Poi cominciò a sudare e pensò che gli avrebbe fatto piacere un bicchiere di birra. Si guardò attorno per vedere se c'era qualche monello da mandare all'osteria a prendere la birra, ma monelli non se ne vedevano. C'era Cipollino sulla soglia della bottega di Mastro Uvetta che tirava lo spago, ma, chissà perché, da quella parte Mastino sentiva un odore sospetto. Decise di non dirgli nulla.

Il caldo aumentava col salir del sole, e col caldo la sete.

– Chissà cos'ho mangiato, questa mattina, – borbottava Mastino. – Che mi abbiano messo troppo sale nella zuppa? Mi sembra di avere il fuoco in gola e ho la lingua di cemento armato.

Cipollino si fece sulla porta a dare un'occhiata.[48]

– Ehi! – guaì Mastino con un fil di voce.

– Dite a me?

– Sì, dico a voi, giovanotto. Mi andreste a prendere una aranciata?

– Ci andrei volentieri, signor Mastino, ma giusto adesso il mio padrone mi ha dato questa scarpa da risuolare e non ho tempo.

E rientrò senz'altro nella bottega.

– Che maleducato! – brontolò il cane, scuotendo con rabbia la catena che gli impediva di fare senz'altro una scappata all'osteria.

Dopo un poco, Cipollino si affacciò di nuovo.

– Signorino, – mormorò Mastino, – mi portereste un bicchiere d'acqua?

– Io sì che ve lo porterei, – rispose pronto Cipollino, – ma giusto adesso il mio padrone mi ha comandato di rimettere i tacchi a un paio di scarpe del barbiere.

Verso le tre del pomeriggio il sole scottava tanto che perfino i sassi sudavano. Il Mastino non ne poteva più. Allora Cipollino riempì d'acqua una bottiglia e ci versò una polverina bianca che la moglie di Mastro Uvetta usava per addormentarsi la sera. Difatti la povera donna era tanto nervosa che senza quella polverina non le riusciva di dormire.

Cipollino mise il pollice sulla bocca della bottiglia e poi, portandosela alle labbra, finse di bere.

– Ah! – esclamò poi lisciandosi la gola, – quant'è fresca!

Il Mastino inghiottì un litro di acquolina e per un momento gli parve di star bene.

– Signor Cipollino, – disse poi, – è molto buona quell'acqua?

– Buona? Dite pure che è meglio del rosolio.

– E non ci sono microbi?

– Macché, è acqua purissima, distillata da un professore dell'università di Barberino.

E così dicendo si portò di nuovo la bottiglia alla bocca e finse di inghiottirne un paio di sorsate.

– Signor Cipollino, – fece il Mastino, – com'è che la bottiglia resta sempre piena?

– Dovete sapere, – rispose Cipollino, – che questo è un regalo del mio povero nonno. E' una bottiglia che non si vuota mai.

– Me ne dareste una sorsatina? Tanto come un cucchiaio mi basterebbe.

– Una sorsatina? Ma io ve ne dò una mezza dozzina di bottiglie! – rispose Cipollino.

Figuratevi la gioia di Mastino: non la finiva più di ringraziare[49] il ragazzo, gli leccava le ginocchia dimenando la coda come non avrebbe fatto nemmeno per le sue padrone, le Contesse del Ciliegio. Cipollino gli porse la bottiglia. Il cane se l'attaccò alle labbra e bevve, la bevve tutta fino in fondo con una sola sorsata e stava per dire:

– E' già finita? Non mi avevate detto che era una bottiglia miracolosa?

Ma non fece in tempo a dirlo e cadde addormentato.[50]

Cipollino lo slegò dalla catena, se lo caricò sulle spalle e si avviò verso il Castello. Si voltò indietro ancora una volta a guardare il sor Zucchina che ripigliava possesso della sua casuccia:[51] nel finestrino, la faccia del vecchietto, con la sua barba rossiccia spelacchiata, sembrava il ritratto della felicità.

– Povero cagnaccio! – pensava Cipollino camminando verso il Castello. – Te l'ho dovuta fare. Chissà se mi ringrazierai ancora per l'acqua fresca, quando ti sveglierai.

Il cancello del parco era aperto. Cipollino posò il cane sull'erba, lo accarezzò dolcemente e disse:

– Scusami tanto, e salutami il Cavalier Pomodoro.

Il Mastino rispose con un mugolio felice: stava sognando di nuotare in un laghetto in mezzo alle montagne, un laghetto di acqua fresca e dolcissima, e nuotando beveva a sazietà, diventava d'acqua lui pure, un cane d'acqua, con due orecchie d'acqua e una coda d'acqua zampillante.

– Sogna in pace, – disse Cipollino. E tornò al villaggio.