1. Chi era Cipollino?
2. Quanti fratelli aveva Cipollino e come si chiamavano?
3. Che cosa non piaceva ai ricchi quando capitavano vicino alla baracca di Cipollone?
4. Perché Cipollino prese il raffreddore?
5. Come era vestito il Principe Limone?
6. Perché fu arrestato Cipollone?
7. Cosa diceva la gente sull’arresto di Cipollone?
8. Cipollone fu condannato a…?
9. Perchè Cipollone fu condannato a stare in prigione anche fin dopo morto?
10. Chi c’era alla corte del Principe Limone?
11. Dove si trovò Cipollino dopo un paio d’ore di cammino?
– Quell’uomo, – domandò Cipollino, – che cosa vi è saltato in testa di rinchiudervi là dentro? Io, poi, vorrei sapere come farete a uscire.
– Oh, buongiorno, – rispose gentilmente il vecchietto – io vi inviterei volentieri, giovanotto, e vi offrirei un bicchiere di birra. Ma qui dentro in due non ci si sta, e poi a pensarci bene[11] non ho nemmeno il bicchiere di birra.
– Per me fa lo stesso, – disse Cipollino, – non ho sete. La vostra casa è tutta qui?
– Sì – rispose il vecchietto, che si chiamava sor[12] Zucchina, – è un po' piccola, ma fin che non tira vento va abbastanza bene.
Il sor Zucchina aveva appena finito il giorno prima di costruirsi la sua casetta. Dovete sapere che fin da ragazzo egli si era fissato in testa[13] di avere una casa di sua proprietà, e ogni anno metteva da parte un mattone.
Però c'era un guaio, e cioè che il sor Zucchina non sapeva l'aritmetica, e così ogni tanto pregava Mastro Uvetta, il ciabattino, di fargli il conto dei mattoni.
– Vediamo un po' – diceva Mastro Uvetta, grattandosi la testa con la lesina, – sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono diciassette.
– E bastano per fare una casa?
– Io direi di no.
– E allora?
– E allora che vuoi da me? Se non bastano per fare una casa, farai una panchina.
– Ma io non ho bisogno di una panchina. Ci sono già quelle dei giardini pubblici, e quando sono occupate posso benissimo stare in piedi.
Mastro Uvetta si diede una grattatina alla testa con la lesina, prima dietro l'orecchio destro, poi dietro l'orecchio sinistro, infine rientrò nella sua bottega.
Il sor Zucchina decise di lavorare di più e di mangiare di meno, così che risparmiava tre mattoni all'anno, e qualche anno perfino cinque in una volta[14].
Diventò secco come uno zolfanello, ma la pila dei mattoni cresceva.
La gente diceva:
– Guardate Zucchina, sembra che i suoi mattoni se li tiri fuori dalla pancia. Ogni volta che il mucchio cresce di un mattone, Zucchina diminuisce di un chilo.
Quando Zucchina si sentì vecchio, andò a chiamare di nuovo Mastro Uvetta e gli disse così:
– Per favore, venite a farmi il conto dei mattoni.
Mastro Uvetta prese la lesina per grattarsi la testa, diede una occhiata al mucchio e sentenziò:
– Sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono centodiciotto.
– Basteranno per fare la casa?
– Io dico di no.
– E allora?
– Che vuoi da me? Farai un pollaio.
– Ma io non ho galline da metterci.
– Mettici un gatto: i gatti sono utili perché pigliano i topi.
– E' vero, ma io non ho un gatto, e a pensarci bene mi mancano anche i topi.
– Non so cosa dirti, – sbuffò Mastro Uvetta, grattandosi furiosamente la testa con la lesina, – centodiciotto sono centodiciotto, è giusto?
– Se lo dite voi che avete studiato l'aritmetica, sarà certamente così. Il sor Zucchina sospirò, poi sospirò ancora una volta; infine, visto che a sospirare i mattoni non aumentavano di numero, decise di cominciare senz'altro la costruzione.
– Farò una casa piccola piccola, – pensava lavorando, – non ho mica bisogno di un palazzo, tanto sono piccolo anch'io. E se i mattoni sono pochi, adopererò qualche foglio di carta.
Il sor Zucchina lavorava adagio adagio, per paura di consumare troppo presto i mattoni. Li metteva uno sull'altro con delicatezza, come se fossero stati di vetro. Li conosceva tanto bene, i suoi mattoni!
– Ecco, – diceva prendendone uno e accarezzandolo affettuosamente, – questo è il mattone che risparmiai dieci anni fa per Natale. Lo andai a comperare al mercato con il soldi del cappone: il cappone lo mangerò quando sarà finita la casa.
A ogni mattone tirava un sospiro lungo lungo. Ma quando ebbe consumato tutti i mattoni, gli restavano ancora molti sospiri, e la casa era venuta uguale a una colombaia.
– Se io fossi un colombo, – pensava il povero Zucchina, – ci starei comodissimo.
Invece quando fece per entrare, battè un ginocchio sul tetto e minacciò di far crollare tutta la baracca.
– Invecchiando divento sbadato: devo fare più attenzione[15]. Si inginocchiò davanti alla porta e così carponi e ginocchioni, strisciando e sospirando, entrò nella sua casina. Una volta dentro, ricominciarono i guai: se si alzava faceva crollare il tetto; lungo disteso non si poteva mettere, perché la casa era troppo corta; di traverso non si poteva sdraiare perché la casa era troppo stretta. E i piedi? Bisognava tirare dentro anche i piedi[16], altrimenti in caso di pioggia si sarebbero bagnati.
– A quel che vedo, – concluse Zucchina, – non mi resta che mettermi seduto.
E così fece. Si mise seduto e sospirò.
Se ne stava lì in mezzo alla casetta, sospirando con circospezione, e la sua faccia, nel finestrino, sembrava il ritratto della malinconia.
– Come vi sentite? – domandò Mastro Uvetta che era uscito sulla porta della bottega a curiosare.
– Bene, grazie, – rispose gentilmente Zucchina.
– Non vi va un po' stretta sulle spalle?
– No, ho preso bene le mie misure.
Mastro Uvetta si grattò la testa, secondo il solito, e borbottò qualcosa, ma non si potè capire cosa. Intanto, da tutte le parti la gente veniva a vedere la casetta di Zucchina. Venne anche una schiera di monelli e il più piccolo saltò sul tetto della casina, e cominciò a ballare il girotondo:
Nella casa del sor Zucchina
la mano destra sta in cucina
la mano sinistra sta in cantina,
le gambe in camera da letto
e la testa esce dal tetto.
– Per carità, ragazzi, – si raccomandava Zucchina, – fate piano altrimenti[17] mi crolla la casa. E' tanto delicata.
Per rabbonirli si cavò di tasca tre o quattro bei confetti rossi e verdi che ci stavano chissà da quanti anni e li offerse ai ragazzi: i quali si tuffarono strillando sulla mano e si azzuffarono per spartirsi il bottino.
Da quel giorno Zucchina, appena gli cresceva in tasca qualche spicciolo, comprava dei confetti e li metteva sul davanzale della finestra per i bambini, come si mettono le briciole per i passeri. Così se li fece amici.
Qualche volta li lasciava entrare a turno[18] nella casetta e lui stava fuori a guardare che non facessero disastri.
Zucchina stava appunto raccontando a Cipollino tutte queste cose, quando una nuvola di polvere si levò in fondo al villaggio e subito si sentì uno sbattere precipitoso di porte e di finestre. Si vide la moglie di Mastro Uvetta abbassare con gran furia la saracinesca. La gente si tappava in casa come se stesse per scoppiare il ciclone. Perfino le galline, i gatti ed i cani si diedero a scappare di qua e di là in cerca di un rifugio.
Cipollino non fece in tempo a informarsi di quel che stava succedendo: la nuvola di polvere, con un frastuono orribile, aveva già attraversato il villaggio e si fermò proprio davanti alla casetta del sor Zucchina.
Tra la polvere comparve una carrozza tirata da quattro cavalli, che poi erano piuttosto quattro cetrioli, perché in quel paese, come avrete già capito, erano tutti imparentati con qualche verdura. Dalla carrozza balzò a terra un personaggio imponente, vestito di verde, con una faccia rossa e tondto come un pomodoro troppo maturo che pareva sul punto di scoppiare[19].
Quel personaggio era difatti il Cavalier Pomodoro, Gran Maggiordomo e Amministratore del Castello delle Contesse del Ciliegio. Cipollino pensò che doveva essere un poco di buono, se tutti scappavano a vederlo arrivare, e ad ogni buon conto si tirò in disparte[20].
Per intanto però il Cavalier Pomodoro non faceva nulla di terribile. Cosa faceva? Fissava il sor Zucchina, lo fissava e lo fissava, crollando la testa minacciosamente, senza dire una parola.
Il povero sor Zucchina avrebbe voluto sprofondare, lui e la sua casetta.
Il sudore gli scendeva a ruscelli dalla fronte e gli entrava in bocca[21], ma lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare una mano per asciugarselo e lo mandava giù: era salato ed amaro.
Il sor Zucchina chiuse gli occhi e pensò: «Ecco, Pomodoro non c'è più. Io e la mia casetta siamo un marinaio e la sua barchetta in mezzo all'Oceano Pacifico, e l'acqua del mare è azzurra e calma e ci culla dolcemente. O come ci culla dolcemente, di qua e di là… di qua e di là…»
Macché Oceano Pacifico, macché Oceano Atlantico era il Cavalier Pomodoro che, afferrato il cucuzzolo del tetto, lo scrollava di qua e di là con tutta la sua forza, facendone cadere i tegoli.
Il sor Zucchina riaprì gli occhi, mentre Pomodoro lanciava un ruggito spaventoso, che fece chiudere le finestre del villaggio anche più strette di prima: e chi aveva dato un solo giro di chiave alla porta[22] ne diede subito un secondo.
– Ladrone! – gridava Pomodoro – Brigante! Tu hai costruito un palazzo sul terreno che appartiene alle Contesse del Ciliegio e pensi di passarci il resto dei tuoi giorni, oziando e ridendo alle spalle delle due povere vecchie! Ma te la farò vedere le signore, vedove e orfane di padre e di madre.
– Eccellenza! – pregava Zucchina. – Vi assicuro che il permesso di costruirmi qui la mia casetta mi è stato dato dal signor Conte Ciliegione!
– Il Conte Ciliegione è morto da trent'anni, pace al suo nocciolo. La terra è delle Contesse, e tu mi farai il piacere di andartene su due piedi. Del resto te lo dirà l'avvocato. Avvocato! Avvocato!
Il sor Pisello, che era l'avvocato del paese, doveva essere stato tutto il tempo dietro la porta, pronto alla chiamata, perché schizzò fuori proprio come un pisello dal suo baccello. Ogni volta che Pomodoro scendeva al villaggio chiamava sempre l'avvocato per farsi dar ragione.
– Eccomi, Eccellenza! Ai Vostri ordini, – biascicò Pisello, inchinandosi.
Ma era così piccolo che l'inchino non si vide: per paura di sembrare maleducato il sor Pisello fece addirittura una capriola[23], e andò a finire a gambe all'aria[24].
– Dite a quest'uomo che se ne deve andare subito, in nome della legge. E fate sapere a tutti quanti[25] che le Contesse del Ciliegio hanno intenzione di mettere in questo canile un feroce mastino per tenere a bada[26] i monelli, che da qualche tempo si dimostrano poco rispettosi.
– Ecco, io, veramente… – cominciò a farfugliare il sor Pisello, diventando sempre più verde per la paura.
– Che veramente e non veramente: siete avvocato sì o no?
– Sissignore, Eccellenza Illustrissima: mi sono laureato in diritto civile, penale e penoso all'Università di Salamanca.
– Basta così, allora. Se siete avvocato, ho ragione io. Potete andare.
– Sissignore, signor Cavaliere. – E il sor Pisello, senza farselo ripetere, scomparve più svelto della coda di un topo.
– Hai sentito che cos'ha detto l'avvocato? – domandò Pomodoro al sor Zucchina.
– L'avvocato non ha detto proprio niente.
– E osi anche rispondere, prepotentaccio?
– Eccellenza, io non ho aperto bocca, – balbettò Zucchina.
– Chi ha parlato, allora?
Pomodoro si guardò in giro minacciosamente.
– Birbante! Briccone! – disse ancora la voce.
– Chi ha parlato? Sarà stato certo quel poco di buono di Mastro Uvetta, – concluse Pomodoro, e direttosi verso la bottega del ciabattino picchiò con la sua mazza sulla saracinesca, dicendo:
– Lo so, lo so, Mastro Uvetta, che nella vostra bottega si fanno discorsi proibiti contro di me e contro le nobili Contesse del Ciliegio. Non avete alcun rispetto per quelle due poverine, vedove, orfane di padre e di madre e senza neanche uno zio. Ma verrà anche la vostra volta.[27] E allora vedremo chi riderà.
– Verrà anche la tua volta, Pomodoro, e allora scoppierai, – disse di nuovo la voce.
E il padrone della voce, ossia Cipollino, si avvicinò con le mani in tasca al terribile Cavaliere, il quale non sospettò nemmeno per un minuto che fosse stato quel ragazzotto a dirgli il fatto suo.
– Di dove sbuchi tu? Perché non sei al lavoro?
– Io non lavoro, – disse Cipollino, – io studio.
– E che cosa studi? Dove sono i libri?
– Studio i furfanti, Eccellenza. Giusto adesso me n'è capitato uno sotto il naso, e non voglio perdere l'occasione di studiarlo per vedere com'è fatto.
– Un furfante? Qui tutti dal più al meno sono furfanti. Ma se ne hai trovato uno che non conosco, fammelo vedere.
– Certo, Eccellenza, – rispose Cipollino, strizzandogli l'occhio. Affondò ancora di più la mano nella tasca sinistra e ne trasse uno specchietto che adoperava per andare a caccia di allodole. Andò a mettersi davanti al muso di Pomodoro e gli ficcò lo specchio sotto il naso.
– Eccolo, Eccellenza: se lo guardi con comodo.
Pomodoro guardò con curiosità nello specchio. Chissà cosa credeva di vederci! Naturalmente, invece, ci vide la sua faccia, rossa di fuoco, con gli occhietti piccoli, con la bocca cattiva.
Finalmente capì che Cipollino lo stava prendendo per il naso:[28] allora divenne addirittura furibondo. Lo afferrò per i capelli a due mani e cominciò a tirare.
– Ahi! Ahi! – strillava Cipollino, senza perdere l'allegria. – Troppa forza per un furfante solo: Vostra Eccellenza vale addirittura un battaglione di furfanti.
– Ti farò vedere io,[29] – strillava Pomodoro. E tirò così forte che una ciocca di capelli gli restò in mano.
E capitò quello che doveva capitare, trattandosi dei capelli di Cipollino.
Che è, che non è, ad un tratto il feroce Cavaliere si sentì un tremendo pizzicore agli occhi e cominciò a piangere a ruscelli. Le lacrime gli scorrevano giù per le guance a sette a sette[30]. La strada fu subito bagnata come se fosse passato lo spazzino con la pompa.
«Questa non mi era mai capitata!» – rifletteva stralunatoPomodoro.
Infatti, siccome non aveva cuore, non gli era mai capitato di piangere, e poi non aveva mai sbucciato le cipolle. Il fenomeno gli parve così strano che balzò sul calesse, frustò il cavallo e scappò via a gran velocità.[31] Mentre fuggiva, però si voltò indietro a gridare:
– Zucchina, sei avvisato… E tu, piccolo malandrino, pagherai salate queste lagrime.[32]
Cipollino si buttò per terra a ridere e il sor Zucchina si asciugava il sudore.
Una dopo l'altra le porte e le finestre si spalancavano, tranne quella del sor Pisello. Mastro Uvetta rialzò la saracinesca e venne fuori grattandosi la testa con entusiasmo:
– Per tutto lo spago dell'universo! – esclamava, – Ecco uno capace di far piangere[33] il Cavalier Pomodoro. Di dove vieni, ragazzo?
E Cipollino dovette raccontare a tutti la sua storia, che voi conoscete già.
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