– Che cosa volete insinuare? – domandò bruscamente il Cavalier Pomodoro.
– Io non insinuo nulla, io dico la verità, se la volete sentire. Questo ragazzo non ha nulla. Ha un po' di malinconia.
– Che malattia è? – domandò Donna Prima che non l'aveva mai avuta. Donna Prima, infatti, aveva un debole per le malattie: quando ne sentiva nominare una nuova se la faceva subito venire per provarla.[121] Del resto era tanto ricca che la spesa delle medicine non le importava nulla.
– Non è una malattia, signora Contessa. E' una tristezza. Il ragazzo ha bisogno[122] di compagnia. Perché non lo mandate a giocare qualche volta[123] con gli altri ragazzi?
Non l'avesse mai detto: si levò un coro di proteste. Il povero dottore fu coperto di insulti.[124]
– Se ne vada, – ordinò Pomodoro, – se ne vada prima che lo faccia cacciare fuori dai miei servi.
– E si vergogni, – aggiunse Donna Seconda, – si vergogni di aver abusato[125] della nostra fiducia. Lei si è introdotto nella nostra casa con l'inganno. Se io volessi potrei farla denunciare per violazione di domicilio: non è vero, avvocato?
E si volse per chiedere il parere del sor Pisello, che quando c'era bisogno di un suo parere era sempre presente.
– Certamente, signora Contessa.
E tratto il suo taccuino segnò subito, nel conto delle Contesse del Ciliegio: «Parere circa la denuncia del dottor Marrone per violazione di domicilio, lire cinquantamila».
Avendo così guadagnato la sua giornata, si affrettò a togliere l'incomodo[126].
1. Il barone Melarancia ebbe pietà per Ciliegino?
2. Lo riuscì a consolare?
3. Che reazione ebbe don Prezzemolo mentre sentiva piangere Ciliegino? 4. Per Ciliegino gravemente ammalato furono chiamati i medici più famosi – quanti?
5. La prescrizione fatta dal dottor Marrone per Ciliegino fu accettata dai presenti? Chi erano?
6. I dottori, dopo aver visitato Ciliegino, prescrissero le stesse medicine per curarlo?
7. Cosa prescrisse al malato il dottor Fungosecco?
8. Cosa prescrisse al malato il dottor Nespolino?
9. E i dottori Carciofo e Delle Lattughe?
10. Quando il dottor Marrone si presentò alla porta del Castello, che accoglienza ebbe?
11. Il dottor Marrone visitò il malato allo stesso modo dei suoi colleghi? 12. Che scritto segnò nel suo taccuino il sor Pisello?
Sarete certamente curiosi di avere notizie dei prigionieri, ossia del sor Zucchina, del professor Pero Pera, di Mastro Uvetta, della sora Zucca e degli altri abitanti del villaggio che Pomodoro aveva fatti arrestare e gettare nei sotterranei del Castello.
Per fortuna[127] Pero Pera aveva portato quel pezzetto di candela, perché i sotterranei erano scuri scuri e pieni di topi. Per tenerli lontani[128] il professore cominciò a suonare il violino. Ma egli era di temperamento malinconico e suonava solamente canzoni tristi, che facevano venir voglia di piangere.[129] Mastro Uvetta pregò il professore di smetterla con quella lagna.
I topi, potete figurarvi, appena tornato il silenzio marciarono all'attacco su tre colonne. Il Topo-in-capo ordinò la manovra:
– La prima colonna convergerà da sinistra sulla candela e se ne impadronirà. Ma guai a voi[130] se la rovinate: i denti per il primo ce li devo mettere[131] io che sono il generale. La seconda colonna marcerà sul violino:
è fatto con una mezza pera, e dev'essere squisito. La terza colonna avanzerà frontalmente e avrà il compito di distrarre il nemico.
I capitani delle tre colonne spiegarono il loro compito ai singoli topi di fanteria. Il Topo-in-capo prese posto sul carro armato, ossia su una vecchia tegola sbrecciata, adagiata sulla pancia di un topone che altri dieci topi tiravano per la coda. I trombettieri suonarono la carica[132] e in pochi minuti la battaglia era decisa: Pero Pera riuscì a salvare il violino, sollevandolo al di sopra della mischia, ma la candela fu espugnata e i nostri amici rimasero al buio.
Il sor Zucchina non si dava pace[133]:
– Tutto per colpa mia!
– E perché mai sarebbe colpa vostra? – borbottò Mastro Uvetta.
– Se io non mi fossi ostinato a voler quella casa,[134] non ci troveremmo nei guai.
– Ma state un po' zitto, – esclamò la sora Zucca. – Non siete mica voi che ci avete messo in prigione.
– Io sono vecchio, che cosa me ne faccio di una casa – piagnucolava Zucchina. – Posso andare ad abitare sotto una panchina ai giardini pubblici, là non darò fastidio[135] a nessuno. Amici, per favore,[136] chiamate le guardie e dite loro che regalerò la casina a Pomodoro e gli dirò anche dove può andarla a prendere.
– Tu non gli dirai un bel niente,[137] – sbottò Mastro Uvetta. Il professor Pero Pera pizzicò tristemente una corda del suo violino:
– Si metterebbe nei pasticci[138] anche il sor Mirtillo.
– Sst! – fece la sora Zucca, – niente nomi. Qui anche i muri hanno orecchie.
Si guardavano in giro, spaventati, ma senza la candela era così buio che non poterono vedere se la prigione avesse davvero le orecchie.
E invece le aveva. Ne aveva uno solo, per la verità[139]: un orecchio rotondo, dal quale partiva un tubo, una specie di telefono segreto, che portava tutte le parole che si dicevano in cella dritto dritto nella camera del Cavalier Pomodoro. Per fortuna in quel momento Pomodoro non era in ascolto[140], perché aveva troppo da fare al capezzale di Ciliegino.
Nel silenzio che seguì, si sentirono degli squilli di tromba. I topi tornavano all'attacco, più che mai[141] decisi a conquistare il violino di Pero Pera.
Per spaventarli, il professore si accinse a suonare: appoggiò lo strumento alla spalla, brandì l'archetto con aria ispirata e tutti trattennero il fiato. Lo tennero per un bel pezzo[142], ma poi lo lasciarono e si decisero a respirare, perché dallo strumento non usciva alcun suono.
– Qualcosa che non va?[143] – domandò Mastro Uvetta.
– I topi mi hanno mangiato l'archetto, – esclamò Pero Pera con le lacrime in gola.
L'avevano rosicchiato quasi tutto, lasciandone soltanto pochi centimetri. Senza archetto non si poteva far musica e l'esercito dei topi avanzava, lanciando terribili strida di guerra[144].
– Tutto per colpa mia, – sospirava il sor Zucchina.
– Smettetela di sospirare e dateci una mano[145], – ordinò Mastro Uvetta, – o piuttosto, dal momento che sospirate così bene[146], provatevi anche a miagolare.
– Ho proprio voglia di miagolare, – si lamentò Zucchina. – Mi meraviglio di voi che siete una persona seria e vi mettete a scherzare in questa situazione.
Mastro Uvetta non gli rispose nemmeno e accennò un miagolio così bene imitato che l'esercito dei topi si arrestò.
– Miao, miao, – miagolava il ciabattino.
– Miao, miao, – gli faceva eco[147] il professore, senza cessare di piangere per la fine ingloriosa del suo archetto.
– Per la venerata memoria di mio nonno Topazzo Terzo, re di tutte le cantine e di tutte le fogne: qui c'è un gatto, – esclamò il Topo-in-capo, frenando bruscamente il carro armato.
Generale, siamo stati traditi, – gridò uno dei tre capitani giungendo di corsa. – Le mie truppe hanno avvistato una colonna di gatti soriani, armati di bafi e di artigli.
Le sue truppe non avevano visto un bel niente. Avevano solamente avuto paura, ma la paura fa vedere[148] anche quello che non c'è.
– Miao, miao, – miagolavano disperatamente i nostri prigionieri.
Il Topo-in-capo si lisciò la coda, come faceva sempre quando era preoccupato, tanto che la coda era tutta consumata.
– Giuro sulla memoria del mio trisavolo Topazzo Primo, Imperatore di tutti i granai, che i traditori la pagheranno.[149] Intanto, suonate la ritirata.
I capitani non se lo fecero ripetere. Le trombe suonarono la ritirata e l'intero esercito si ritirò più in fretta che potè[150], con in testa il Topo-in-capo.
I nostri stavano ancora congratulandosi per la bella vittoria, quando si udì una vocina che chiamava:
– Sor Zucchina! Sor Zucchina!
– Mi avete chiamato, professore?
– Io no, – rispose Pero Pera, – io non vi ho chiamato.
– Eppure, mi era sembrato.
– Sora Zucca, sora Zucca! – fece ancora la vocina.
La sora Zucca si rivolse a Mastro Uvetta:
– Mastro Uvetta, perché fate quella vocina?[151]
– Ma cosa vi piglia?[152] Io non faccio nessuna vocina. Mi sto grattando la testa, perché ho dentro un'idea che mi prude.
– Sono io, – continuò la vocina, – sono Fragoletta.
– E dove sei?
– Sono nella camera del Cavalier Pomodoro e vi sto parlando col suo telefono segreto. Mi sentite?
– Sì, ti sentiamo.
– Anch'io vi sento benissimo. Pomodoro sarà qui tra poco. Ho un messaggio per voi.
– Chi lo manda?
– Lo manda Cipollino. Dice che non dovete darvi pensiero, che troverà lui la maniera di farvi uscire di prigione. Non rivelate a Pomodoro il segreto della casina, non sottomettetevi: penserà lui a tutto.
Mastro Uvetta rispose:
– Non diremo niente e aspetteremo con fiducia. Però dì a Cipollino che faccia presto, perché qui siamo assediati dai topi e non sappiamo quanto tempo potremo resistere. E un'altra cosa: vedi se puoi procurarci una candela e dei fiammiferi. Quella che avevamo, i topi se la sono mangiata.
– Aspettate lì, torno subito.
– Certo che aspettiamo: dove vuoi che andiamo?
Dopo un poco si sentì nuovamente la voce di Fragoletta:
– Attenzione, ora vi mando giù la candela.
Difatti si udì un fruscio, poi qualcosa sbattè sul naso del sor Zucchina.
– Eccola, eccola, – esclamò felice il pover'uomo.
In un pacchetto c'erano una bella candela di sego e una bustina di cerini.
– Grazie, Fragoletta.
– Addio, devo scappare perché sta arrivando Pomodoro.
Difatti Pomodoro entrava proprio in quel momento nella sua camera. Alla vista di Fragoletta che armeggiava attorno al suo telefono segreto, il Cavaliere montò su tutte le furie.
– Che cosa fai tu lì?
– Pulisco questa trappola.
– Quale trappola?
– Questa: non è una trappola per i topi?
Pomodoro tirò un sospiro di sollievo:[153]
– Meno male, – pensò, – è tanto stupida che ha scambiato il mio orecchio segreto per una trappola da topi.
Si sentì subito più allegro e regalò perfino a Fragoletta la carta di una caramella.
– Ecco, per te, – disse generosamente, – succhia questa cartina. E’ dolcissima: un anno fa c'era dentro una caramella al ratafià.
Fragoletta ringraziò il Cavaliere con un inchino, dicendo:
– In sette anni di servizio, questa è la terza carta di caramelle che Vossignoria mi regala.
– Vedi dunque, – rispose Pomodoro, – che io sono un buon padrone: comportati bene e ti troverai contenta.
– Chi si contenta gode,[154] – concluse Fragoletta, e con un nuovo inchino scappò via per le sue faccende.
Pomodoro si fregò le mani, pensando:
– Ora mi metto in ascolto[155] al mio telefono segreto. Parlando tra loro i prigionieri certamente si diranno cose molto interessanti, e forse verrò a sapere dove hanno nascosto quella maledetta casina.
I prigionieri, invece, figurandosi che Pomodoro li stesse a sentire, cominciarono a parlare di lui e ne dissero di tutti i colori, di cotte, di crude e di così così.[156]
Pomodoro avrebbe ben voluto gridare: «Ora vi aggiusto io!»[157], ma non voleva scoprirsi. Dovette accontentarsi di tappare la cornetta del suo telefono, dopo di che se ne andò a dormire.
Mastro Uvetta accese la candela nuova che faceva una luce allegra e confortante.
La loro contentezza però fu di breve durata.[158] Infatti un topo di vedetta, data un'occhiata in giro, corse a riferire al comandante.
– Generale, – annunciò lietamente, – i gatti si sono ritirati. I prigionieri hanno una candela nuova.
Il Topo-in-capo inghiottì mezzo litro di acquolina e si leccò i bafi, dove era rimasto un poco di sapore di quell'altra candela.
– Fate suonare l'adunata, – ordinò seduta stante[159]. Quando l'esercito fu schierato, egli pronunciò un discorso infiammato:
– Miei prodi, la patria è in pericolo. Perciò affrettatevi al combattimento e portatemi quella candela. La candela naturalmente la mangerò io, ma prima ve la lascerò leccare un pochino a turno[160].
I topi gridarono d'entusiasmo, imbracciarono le armi e marciarono nuovamente all'attacco.
Stavolta, però, Mastro Uvetta era stato previdente ed aveva appeso la candela in alto, dove c'era nel muro un piccolo vano tra due mattoni.
Per quanti salti spiccassero[161], i topi non riuscirono a raggiungerla. I più furbi si accontentarono di rosicchiare un poco il violino di Pero Pera, poi dovettero ritirarsi anche loro perché il Topo-in-capo, irritatissimo per l'insuccesso, voleva fare la decimazione.
Infatti, la fece. Mise tutti i topi in fila[162] e fece tagliare i bafi a uno ogni dieci.
Quella sera, in giardino, ci fu consiglio di guerra.
Cipollino, Fragoletta e Ravanella si trovarono dietro una siepe per discutere la situazione, e discutevano con tanto calore che non si accorsero di nulla. Ossia, non si accorsero del cane Mastino, che mentre faceva il giro d'ispezione piombò loro addosso come una furia. Mastino non degnò di un'occhiata le due ragazze: si sedette tranquillamente sul petto di Cipollino e abbaiò fin che Pomodoro, destato dal fracasso, non venne a dargli man forte.[163]
Figuratevi la gioia del Cavaliere: proprio dieci minuti prima aveva sognato di catturare Cipollino, e il suo sogno era diventato realtà. Se suo nonno in sogno gli avesse dato tre numeri buoni per il lotto, e il terno fosse uscito su tutte le ruote, non sarebbe stato così contento.[164]
– Ti rinchiuderò nella fossa segreta, – annunciò a Cipollino, – la prigione semplice non è degna di te.
– Grazie, Cavaliere, – rispose Cipollino. – E' un vero onore.
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