1. Il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da?
2. Chi fu messo nella casetta del sor Zucchina?
3. Secondo il Cavaliere, dove c’era un posto per Zucchina, se questi volesse una casa?
4. A causa di che cosa Mastino aveva tanta sete?
5. Colpito dalla sete Mastino stava pensando a quale bibita che che gli avrebbe fatto piacere?
6. Come si rivolse Mastino a Cipollino per la prima volta?
7. Come si rivolse a lui per la seconda volta?
8. E come lo pregava per la terza volta di portargli da bere?
9. Cosa mise Cipollino nella bottiglia d’acqua da offrire a Mastino?
10. Come Cipollino ingannò Mastino fingendo di bere dalla bottiglia?
11. Cipollino riuscì a spiegare a Mastino come mai la bottiglia restava sempre piena?
12. In che modo Mastino ringraziò Cipollino per l’acqua portatagli?
13. Appena il Mastino cadde addormentato, cosa ne fece Cipollino?
14. Il sor Zucchina si rifiutò di ripigliare possesso della sua casuccia liberata?
15. Dove Cipollino portò e lasciò Mastino?
16. Che sogni fece Mastino?
Al villaggio Cipollino trovò molta gente radunata attorno alla casa del sor Zucchina a discutere. A dire la verità[52], erano tutti piuttosto spaventati.
– Che farà ora il Cavaliere? – si domandava il professor Pero Pera con aria preoccupata.
– Io dico che questa storia finirà male. In fin dei conti, loro sono i padroni e loro comandano, – osservò la sora Zucca. La moglie di Pirro Porro le diede subito ragione[53], afferrò il marito per i bafi come se fossero due redini e fece:
– Arri là! Torniamo a casa, prima che succedano altri guai.
– Anche Mastro Uvetta crollava il capo.
– Pomodoro è rimasto beffato due volte[54]: ora si vorrà vendicare[55], – disse.
L'unico a non preoccuparsi era il sor Zucchina: aveva cavato di tasca i più bei confetti che si fossero mai visti e ne offriva a tutti per festeggiare l'avvenimento. Cipollino prese un confetto, lo succhiò ben bene, poi disse:
– Sono anch'io del parere che Pomodoro non si arrenderà tanto presto.
– Ma allora… – cominciò Zucchina, sospirando. Tutta la sua felicità era scomparsa come il sole quando passa una nuvola.
– Allora, la mia idea è questa. Non c'è che una cosa da fare: nascondere la casa.[56]
– Nascondere la casa?
– Appunto. Se fosse un gran palazzo non lo direi nemmeno, ma una casa tanto piccola non si farà fatica a nasconderla. Scommetto che ci sta tutta sul carretto del cenciaiolo.
Fagiolino, che era il figlio del cenciaiolo, scappò subito a casa e tornò di lì a poco col carretto.
– Qua sopra? – domandò Zucchina, preoccupato che la sua casetta potesse andare in pezzi.
– Ci starà benissimo, – sentenziò Cipollino.
– E dove la portiamo?
– Si potrebbe, – propose Mastro Uvetta, – si potrebbe nasconderla nella mia cantina, per intanto. Poi si starà a vedere.[57]
– E se Pomodoro lo viene a sapere?[58]
Tutti guardarono dalla parte del sor Pisello, che passava di lì fingendo di essere in un altro posto. L'avvocato arrossì e si affrettò a giurare e spergiurare:
– Da me Pomodoro non saprà mai nulla. Io non sono una spia, sono un avvocato.
– In cantina sarà umido: la casa potrebbe sciuparsi, – obiettò timidamente il sor Zucchina. Perché non la nascondiamo nel bosco?
– E chi la custodirà? – domandò Cipollino.
– Io conosco un tale, – disse Pero Pera, – che abita nel bosco, il sor Mirtillo. Si potrebbe provare ad afidargli la casa per qualche tempo. Poi si vedrà.
Decisero di provare. In tre minuti la casina fu caricata sul carretto del cenciaiolo: il sor Zucchina la salutò con un ultimo sospiro e andò a riposarsi di tante emozioni[59] a casa della sora Zucca, che era sua nipote.
Cipollino, Fagiolino e il professore si diressero verso il bosco, spingendo il carretto senza nemmeno fare troppa fatica: la casetta non pesava più di una gabbia per i passeri.
Il sor Mirtillo abitava in un riccio di castagna dell'anno prima: un bel riccio grosso e spinoso, dove il sor Mirtillo ci stava comodissimo, lui e le sue ricchezze, che consistevano in una mezza forbice, una lametta per la barba, un ago con una gugliata di cotone e una crosta di formaggio.
Appena ebbe sentito la proposta si spaventò moltissimo: l'idea di abitare in una casa così grande gli dava i brividi[60].
– Non accetterò mai, non è possibile. Che cosa me ne faccio di un palazzo come quello? Io sto bene nel mio riccio. Sapete come dice il proverbio? Sto nel mio riccio e non me ne impiccio.
Però quando ebbe sentito che si trattava di fare un piacere[61] al sor Zucchina, accettò di buon cuore:
– Ho sempre avuto simpatia per quell'ometto. Una volta l'ho avvisato che un bruco gli camminava sulla schiena: capirete, gli ho quasi salvato la vita.
La casina fu sistemata accanto al tronco di una quercia: Cipollino, Fagiolino e Pero Pera aiutarono il sor Mirtillo a trasportarvi tutte le sue ricchezze, poi se ne andarono, promettendogli di tornare presto con buone notizie.
Appena rimasto solo, il sor Mirtillo cominciò ad aver paura dei ladri. – Adesso che ho una grande casa, – si diceva, – verranno certamente a derubarmi. Chissà, forse mi ammazzeranno nel sonno, sospettando che io nasconda chissà quali tesori.
Pensa e pensa, decise di mettere un campanello sulla porta e sotto il campanello un cartellino sul quale scrisse, in stampatello[62], queste parole:
I SIGNORI LADRI SONO PREGATI DI SUONARE QUESTO CAMPANELLO. SARANNO FATTI ACCOMODARE E VEDRANNO CON I LORO OCCHI
CHE QUI NON C'È NIENTE DA RUBARE.
Una volta scritto il cartello, si sentì più tranquillo e, essendo già tramontato il sole[63], andò a dormire.
Verso la mezzanotte fu svegliato da una scampanellata.
– Chi va là? – domandò, affacciandosi al finestrino.
– Siamo i ladri, – rispose un vocione.
– Vengo subito, abbiano pazienza che mi infilo la vestaglia, – fece il sor Mirtillo, premuroso.
Si infilò la vestaglia, andò ad aprire la porta e li invitò a guardare in tutta la casa. I ladri erano due giganti grandi e grossi, con certe barbacce scure che facevano paura[64]. Cacciarono la testa in casa – uno per volta, per non darsi le zuccate – e si convinsero presto che non c'era niente da portar via.
– Avete visto, signori? Avete visto? – gongolava il sor Mirtillo, fregandosi le mani.
– Già… già… – grugnirono i due ladri, piuttosto scontenti.
– Dispiace anche a me, mi credano, – continuò Mirtillo. – Intanto, se posso favorirli in qualche cosa…[65] Vogliono farsi la barba? Ho una lametta, qui. Un po' vecchia, si capisce: è un'eredità del mio bisnonno. Ma credo che tagli ancora.
I due ladri accettarono. Si tagliarono alla meglio[66] la barba con la lametta arrugginita e se ne andarono, con molti ringraziamenti. In fondo erano due brave persone: chissà perché facevano il ladro di mestiere!
Il sor Mirtillo tornò a letto e si riaddormentò.
Verso le due di notte fu svegliato una seconda volta da una scampanellata. C'erano altri due ladri, e lui li fece entrare: a turno, si capisce, per non sfondare la casa. Questi non avevano la barba, però uno di loro aveva perso tutti i bottoni della giacca: il sor Mirtillo gli regalò l'ago e il filo e gli raccomandò di guardare sempre per terra quando andava in giro.
– Sapete, a guardare in terra si trovano tanti bottoni, – spiegò.
E anche quei ladri se ne andarono per i fatti loro.
Così ogni notte il sor Mirtillo era svegliato dai ladri, che suonavano il campanello, gli facevano una visita e se ne andavano senza bottino, ma contenti di aver conosciuto[67] una persona tanto gentile.
1. Rientrato al villaggio Cipollino trovò molta gente radunata attorno alla casa del sor Zucchina a discutere – intorno a quale evento?
2. Da chi fu prestato il carretto per trasportare la casetta di Zucchina?
3. Perché chiamarono il cenciaiolo Fagiolino con il suo carretto?
4. Perché si rinunciò a nascondere la casetta Zucchina in cantina?
5. Chi propose di nasconderla nel bosco?
6. Quanto era leggera la casetta del sor Zucchina?
7. Dove abitava il sor Mirtillo?
8. Che ricchezze possedeva?
9. Come il sor Mirtillo salvò la vita al sor Zucchina?
10. Avendo paura dei ladri, che cosa inventò il sor Mirtillo per sentirsi fuori pericolo?
11. Quali parole recava il cartellino scritto in stampatello dal sor Mirtillo?
12. Cosa rispose il sor Mirtillo ai primi due ladri?
13. Di che cosa se ne resero conto i ladri?
14. Che cosa regalò il sor Mirtillo ad altri due ladri?
15. Perchè lui raccomandò loro di guardare sempre per terra quando andavano in giro?
E’ tempo ormai[68] che diamo un'occhiata al Castello delle Contesse del Ciliegio, le quali, come avrete già capito, erano le padrone di tutto il villaggio, delle case, della terra, della chiesa e del campanile.
Il giorno che Cipollino fece trasportare nel bosco la casa del sor Zucchina, al castello c'era una gran confusione,[69] perché erano arrivati i parenti.
Ne erano arrivati esattamente due: il barone Melarancia e il duchino Mandarino. Il barone Melarancia era cugino del povero marito di Donna Prima. Il duchino Mandarino, invece, era cugino del povero marito di Donna Seconda. Il barone Melarancia aveva una pancia fuori del comune: cosa logica, del resto,[70] perché non faceva altro che mangiare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, frenando le mascelle solo qualche oretta per fare un pisolino.[71]
Quando era giovane, il barone Melarancia dormiva tutta la notte, per digerire quello che aveva mangiato di giorno, ma poi si era detto:
– Dormire è tutto tempo perso:[72] mentre dormo, infatti, non posso mangiare.
E così aveva deciso di mangiare anche di notte e di ridurre a un'ora il tempo destinato alla digestione. Da tutti i suoi possedimenti, che erano molti e sparsi in tutta la provincia, partivano continuamente carovane cariche di cibarie di ogni genere[73] per saziare la sua fame. I poveri contadini non sapevano più cosa mandargli: uova, polli e tacchini, ovini, bovini e suini, frutta, latte e latticini, il barone mangiava tutto quanto in un momento. Aveva due servitori incaricati di ficcargli in bocca quel che arrivava, e altri due che davano il cambio[74] ai primi quando erano stanchi.
Alla fine i contadini gli mandarono a dire che non c'era più niente da mangiare.
– Mandatemi gli alberi! – ordinò il barone.
I contadini gli mandarono gli alberi, e lui mangiò anche quelli, con le foglie e le radici, intingendoli crudi nell'olio e nel sale.
Quando ebbe finito gli alberi, cominciò a vendere le sue terre e con il ricavato comprava altra roba mangereccia. Quando ebbe venduto le terre e fu diventato povero in canna,[75] scrisse una lettera alla Contessa Donna Prima e si fece invitare al Castello.
Donna Seconda, a dire la verità non era tanto contenta:
– Il barone darà fondo[76] alle nostre ricchezze: si mangerà il nostro castello fino ai comignoli.
Donna Prima cominciò a piangere:
– Tu non vuoi ricevere i miei parenti. Povero baroncino, tu non gli vuoi bene.
– D'accordo, – disse allora Donna Seconda – invita pure il barone. Io inviterò il duchino Mandarino, cugino del mio povero marito.
– Invitalo pure, – rispose sprezzante Donna Prima, – quello non mangia nemmeno quanto un pulcino. Il tuo povero marito, pace al suo nocciolo, aveva parenti piccoli e magri, che quasi non si vedono a occhio nudo. Il mio povero marito invece, pace al suo nocciolone, aveva parenti grandi e grossi, visibili a grande distanza.[77]
Il barone Melarancia era davvero visibile a grande distanza: a distanza di un chilometro si poteva scambiarlo per una collina.
Si dovette subito provvedere per un aiutante[78] che lo aiutasse a portare la pancia, perché da solo non ce la faceva più.[79] Pomodoro mandò a chiamare il cenciaiolo del paese, ossia Fagiolone, perché portasse il suo carretto. Fagiolone non trovò il carretto, perché lo aveva preso suo figlio Fagiolino, come sapete, e così si portò dietro una carriola a mano, di quelle che adoperano i muratori per portare la calcina.
Pomodoro diede una mano al barone a sistemare la sua pancia dentro la carriola, poi gridò:
– Arri, là!
Fagiolone afferrò le stanghe della carriola e tirò con tutte le sue forze, ma non la spostò di un centimetro.
Furono chiamati altri due servitori e tutti insieme riuscirono a far fare al barone[80] una passeggiata nei viali del Castello. Da principio non stavano attenti ai sassi:[81] la ruota della carriola andava a cercare i sassi più grossi e puntuti del viale, come se lo facesse apposta,[82] e il povero barone riceveva nella pancia certi colpi che lo facevano sudare.
– State attenti ai sassi! – si raccomandava giungendo le mani.
Fagiolone e i due servitori stavano attenti ai sassi e la carriola andava a finire nelle buche.
– State attenti alle buche, per l'amor del cielo! – supplicava il barone.
Mentre lo portavano a spasso[83], però, non dimenticava la sua occupazione preferita e sgranocchiava un tacchino arrosto che Donna Prima gli aveva fatto preparare come antipasto.
Anche il Duchino Mandarino diede un bel da fare[84] al Castello.
La povera Fragoletta – cameriera personale di Donna Seconda – non finiva mai di stirargli le camicie. Quando gliele riportava, il Duchino torceva il naso, si metteva a piangere e balzava in cima all'armadio, gridando:
– Aiuto! Aiuto!
Accorreva Donna Seconda con le mani nei capelli:
– Mandarino, che cosa ti fanno?
– Non mi stirano bene le camicie, e io voglio morire!
Per convincerlo a restare in vita[85] Donna Seconda gli regalò tutte le camicie di seta del suo povero marito.
Il duchino Mandarino saltò giù dall'armadio e cominciò a provarsi le camicie.[86]
Dopo un poco lo si udì nuovamente gridare:
– Aiuto! Aiuto!
Donna Seconda accorse con il batticuore:
– Cugino Mandarino, che cosa ti fanno?
– Ho perso il bottone del colletto e non voglio più stare al mondo!
Questa volta si era arrampicato in cima allo specchio e minacciava di buttarsi a capofitto[87] sul pavimento.
Per farlo chetare Donna Seconda gli regalò tutti i bottoni del suo povero marito, che erano d'oro, d'argento e di pietre preziose.
Prima di sera, Donna Seconda non aveva più gioielli, il Duchino Mandarino aveva ammassato parecchi bauli di roba e si fregava le mani soddisfatto.
Le Contesse cominciavano ad essere molto preoccupate per quei loro parenti così voraci, e sfogavano l'irritazione[88] sul povero Ciliegino, il loro nipotino, orfano di padre e di madre.
– Mangiapane a tradimento![89] – lo sgridava Donna Prima, – vai subito a fare i compiti.
– Li ho già fatti.
– Fanne degli altri! – ordinava severamente Donna Seconda.
Ciliegino, ubbidiente, andava a fare degli altri compiti: ogni giorno ne faceva dei quaderni intieri, in una settimana ne faceva una montagna di quaderni.
Quel giorno, le Contesse non finivano mai di fargli fare dei nuovi compiti.
– Che cosa fai in giro[90], bighellone?
– Vorrei fare una passeggiata nel parco.
– Nel parco ci passeggia il barone Melarancia, non c'è posto per i fannulloni come te. Va' subito a studiare la lezione.
– L'ho già studiata.
– Studiane un'altra.
Ciliegino, ubbidiente, andò a studiare un'altra lezione: ogni giorno ne studiava centinaia e centinaia. Aveva già letto tutti i libri della biblioteca del Castello.
Ma se le Contesse lo vedevano con in mano un libro subito prendevano a sgridarlo:
– Posa quei libri, incosciente. Non vedi che li consumi?
– Ma come posso studiare le lezioni senza toccare i libri?
– Studiale a memoria.[91]
Ciliegino si chiudeva in camera sua e studiava, studiava, studiava. Sempre senza libri, si capisce. Aveva tutto nel cervello e continuava a pensare nuove cose. A pensare gli veniva il mal di testa e le Contesse lo sgridavano:
– Sei sempre ammalato perché pensi troppo. Non pensare e ci farai risparmiare i soldi delle medicine.
Insomma, tutto quello che faceva Ciliegino per le Contesse era malfatto.
Ciliegino non sapeva da che parte voltarsi[92] per non prendersi dei rabbufi e si sentiva veramente infelice.
In tutto il Castello aveva un solo amico, ed era Fragoletta, la servetta di Donna Seconda. Fragoletta aveva compassione di quel povero piccolo ragazzo con gli occhiali, a cui nessuno voleva bene: era gentile con lui e di sera, quando andava a letto, gli portava qualche pezzo di dolce.
Ma quella sera, a tavola, il dolce se lo mangiò il barone Melarancia.
Il duchino Mandarino ne voleva un pezzo anche lui. Per farselo dare saltò in cima alla credenza e cominciò a strillare:
– Aiuto! Aiuto! Tenetemi, se no mi butto!
Ma ebbe un bello strillare[93]: il barone mandò giù il dolce intero senza dargli retta.
Donna Seconda, in ginocchio davanti alla credenza, pregava il suo cuginetto di non ammazzarsi. Per convincerlo a scendere a terra gli doveva promettere qualcosa, ma non aveva più niente.
Del resto, quando comprese che non c'era più niente da arraffare, il duchino Mandarino calò a terra da solo, sbuffando.
Proprio in quel momento Pomodoro fu avvertito che la casa del sor Zucchina era scomparsa. Il Cavaliere non ci pensò su due volte:[94] mandò un messaggio al Governatore e gli chiese in prestito una ventina di poliziotti, ossia di Limoncini.
I Limoncini arrivarono il giorno dopo e fecero piazza pulita.[95] Questo vuoi dire che fecero il giro del paese e arrestarono tutti quelli che trovarono.
Arrestarono Mastro Uvetta, naturalmente. Il ciabattino prese la lesina per grattarsi la testa e li seguì brontolando. I Limoncini gli sequestrarono la lesina.
– Non potete portare armi con voi, – dissero severamente a Mastro Uvetta.
– E io con che cosa mi gratto?
– Quando vi volete grattare, avvisate il comandante e ci penserà lui.
Così Mastro Uvetta, quando aveva bisogno di grattarsi la testa per riflettere, avvisava il comandante dei Limoncini e subito un Limoncino gli grattava la testa con la sciabola.
Anche il professor Pero Pera fu arrestato: gli lasciarono prendere solo il violino e una candela.
– Che cosa ne volete fare della candela?
– Mia moglie me l'ha messa in tasca, perché dice che le prigioni del Castello sono molto scure.
Insomma, furono arrestati tutti gli abitanti del villaggio, eccetto il sor Pisello, perché era un avvocato, e Pirro Porro, perché non lo trovarono.
Pirro Porro non si era mica nascosto, anzi: se ne stava tranquillo sul balcone, con i bafi tirati dalle due parti, e sui bafi il bucato steso ad asciugare. Le guardie lo scambiarono per[96] un palo e non gli badarono.
Zucchina seguì i Limoncini sospirando secondo il suo solito.[97]
– Perché sospirate tanto? – gli domandò severamente il comandante.
– Perché ho tanti sospiri. Ho lavorato tutta la vita e ogni giorno ne mettevo da parte una dozzina: adesso ne ho migliaia e migliaia e bisogna pure che li adoperi.
Fra le donne, fu arrestata solamente la sora Zucca: e siccome si rifiutava di camminare, le guardie la rovesciarono e la fecero rotolare[98] fin sulla porta della prigione. Era così rotonda.
Siccome erano molto furbi, i Limoncini non arrestarono nemmeno Cipollino, che se ne stava tranquillo seduto sul muricciolo a vederli passare, in compagnia di una bambina qualunque, che si chiamava Ravanella.
I Limoncini domandarono proprio a loro se avessero visto da quelle parti un pericoloso malandrino di nome Cipollino.
Essi risposero che l'avevano visto nascondersi sotto il berretto del comandante e scapparono sghignazzando.
Quel giorno stesso, però, andarono a fare un giro d'ispezione al Castello, per sapere che ne era stato dei prigionieri.[99]
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