10:05
Osservatorio navale degli Stati Uniti – Washington, DC
“Signore, grazie di essere venuto.”
Susan Hopkins si allungò per stringere la mano dell’uomo alto nel completo azzurro chiaro. Era il deputato degli Stati Uniti dell’Ohio, Michael Parowski. Aveva dei capelli prematuramente imbiancati e dei socchiusi occhi azzurro pallido. Cinquantacinque anni, era bello in un aspro modo da uomo Marlboro. Nato e cresciuto operario, aveva grosse mani di pietra e spalle ampie di un uomo che aveva cominciato la propria carriera come operaio siderurgico.
Susan conosceva la sua storia. Era scapolo da una vita. Era cresciuto ad Akron, figlio di immigrati polacchi. Da teenager era un stato un pugile da Golden Gloves. Le città industriali del nord, Youngstown, Akron, Cleveland, erano la sua roccaforte. Il suo supporto lassù era irremovibile. Di più, era mitico, tipo leggenda. Era al suo nono mandato alla camera, e le sue rielezioni erano una passeggiata.
Michael Parowski sarebbe stato rieletto nel nord dell’Ohio? Il sole sarebbe sorto ancora, domani? La Terra avrebbe continuato a girare sul suo asse? Se si lasciava cadere un uovo, sarebbe caduto sul pavimento della cucina? Quell’uomo era inevitabile come le leggi della fisica. Non se ne sarebbe andato da nessuna parte.
Susan aveva visto i video di lui che guadava la folla alle manifestazioni sindacali, nelle feste e ai festival etnici (dove non discriminava – polacchi, greci, portoricani, italiani, afroamericani, irlandesi, messicani, vietnamiti – se avevi un’appartenenza etnica, era lui il tuo uomo). Era uno che stringeva mani, che ti dava gran pacche sulla schiena e che batteva il cinque, e che ti abbracciava. La mossa con cui si firmava era il sussurro.
Nel mezzo della confusione e del caos, con decine o persino centinaia di persone a spingere per farglisi più vicine, lui invariabilmente avrebbe preso una donna di una certa età da parte e le avrebbe sussurrato qualcosa nell’orecchio. A volte le donne ridevano, a volte arrossivano, a volte gli agitavano un dito davanti. La folla quella cosa la adorava, e nessuna donna aveva mai ripetuto ciò che lui le aveva detto. Era un teatrino politico dell’ordine più alto, del tipo che Susan, francamente, adorava.
Lì a Washington DC, era un uomo del sindacato a tutti gli effetti – l’AFL-CIO gli aveva dato un punteggio del cento per cento. Era uno dei migliori amici degli operai del Campidoglio. Era più debole su alcune delle altre questioni di Susan: i diritti delle donne, i diritti dei gay, l’ambiente. Ma non così tanto da compromettere gli accordi, e in un certo senso i suoi punti di forza completavano quelli di lei. Lei riusciva a parlare con passione di acqua e aria pulite e del benessere delle donne, e lui riusciva a eguagliare la passione di lei quando parlava della brutta situazione della classe operaia americana.
Pure così Susan non era sicura che fosse perfetto per la cosa, ma i membri più anziani del partito le avevano assicurato di sì. Lo volevano a bordo più di tutto. A dire la verità, avevano praticamente preso la decisione per lei. E ciò che volevano davvero da lui, oltre alla sua popolarità, era la sua durezza. Era l’uomo più cattivo della stanza. Non beveva, non fumava, e almeno pareva che non dormisse. Viveva sugli aeroplani, a saltare su e giù al suo distretto come una pallina da ping pong. Sarebbe venuto al Campidoglio per le riunioni della commissione a votare a tutte le ore, in un cimitero di Youngstown al mattino, sei ore dopo, fresco e allerta, lacrime agli occhi, le grosse e forti braccia a cingere la madre di un agente deceduto mentre lei si scioglieva in lacrime contro il suo petto.
Se i suoi nemici dicevano che era silenziosamente rimasto amico di un paio di gangster con cui aveva trascorso l’infanzia nel vecchio quartiere… be’, la cosa aggiungeva solo fascino. Era dolce, era duro, era leale, e non era uno con cui far casini.
Le rivolse un sorriso luminoso. “Signora presidente, a cosa devo l’onore?”
“Ti prego, Michael. Continua a chiamarmi Susan.”
“Okay. Susan.”
Lei lo condusse nel suo studio. Come vicepresidente, aveva smesso da molto tempo di tenere riunioni importanti nel suo ufficio. Preferiva la sensazione un po’ informale, e il bellissimo ambiente, del suo studio. Quando entrarono Kat Lopez era già lì ad aspettarli.
“Conosce il mio capo dello staff, Kat Lopez?”
“Non ho avuto il piacere.”
Si strinsero la mano. Kat gli offrì uno dei suoi rari sorrisi. “Deputato, sono una sua grande fan da quand’ero al college.”
“E quand’è stato, l’anno scorso?”
Kat allora fece qualcosa di fuori dal suo ordinario. Arrossì. Fu veloce, lei si riprese quasi subito, ma arrossì. Quell’uomo faceva effetto alla gente.
Susan offrì a Parowski una sedia. “Ci sediamo?”
Parowski si sistemò su una delle comode poltrone. Susan si sedette di fronte a lui. Kat rimase in piedi dietro di lei.
“Mike, ci conosciamo da molto tempo. Quindi non ci girerò intorno. Come sai, sono improvvisamente diventata presidente quando è morto Thomas Hayes. Mi ci è voluto molto per assestarmi. E ho rimandato la scelta del vicepresidente fino a quando la crisi non sembrava finita.”
“Ho sentito delle voci su quel che è successo ieri,” disse Parowski.
Susan annuì. “È vero. Crediamo che si tratti di un attentato terroristico. Ma sopravvivremo a questo come siamo sopravvissuti agli altri, e andremo avanti ancor più forti e resistenti di prima. E un modo in cui lo faremo è con un vicepresidente forte.”
Parowski la fissò.
Susan annuì. “Tu.”
Lui alzò lo sguardo su Kat Lopez, poi tornò a guardare Susan. Sorrise. Poi rise.
“Pensavo che mi avresti chiesto di radunarti dei voti al Campidoglio.”
“Sì,” disse. “Ti chiederò di farlo. Ma come vicepresidente e presidente del Senato, non come membro del congresso dell’Ohio.”
Alzò le mani. “Lo so. Pare che ti stia passando la bomba senza preavviso, ed è proprio così. Ma ho sondato il terreno, e ho tenuto riunioni top secret per le ultime sei settimane. Il tuo nome non ha fatto che saltar fuori. Sei quello con massiccia popolarità nel tuo distretto, e ampio fascino per l’intera zona nord degli Stati Uniti, e persino nei distretti della classe operaia conservatrice del sud. E sei il candidato infaticabile che può concorrere duramente con me quando verrà l’ora di ricandidarsi.”
“Lo farò,” disse.
“Prenditi il tuo tempo,” disse Susan. “Non voglio metterti fretta.”
Il suo sorriso si allargò. Adesso sollevò le mani, quasi come implorando i cieli. “Che cosa posso dire? È un sogno divenuto realtà. Mi piace davvero quello che stai facendo. Hai tenuto insieme questo Paese in un momento in cui sarebbe potuto andare in pezzi. Sei stata molto più tenace di chiunque te ne abbia riconosciuto il merito.”
“Grazie,” disse Susan. Se lui avesse potuto vederla nei primi giorni, a piangere sola in quella stessa stanza quando pensava che il novanta per cento della gente sarebbe morta per l’attentato col virus Ebola, l’avrebbe ancora pensata così?
Susan annuì tra sé e sé. Probabilmente più che mai.
Lui la indicò col suo grosso indice. “Ti dirò un’altra cosa. Ho sempre saputo che eri fatta così. Riesco a leggere il meglio delle persone. Ho imparato a farlo quando ero un ragazzino, e l’ho visto in te anni fa, quando sei venuta a Washington DC. Chiedi a chi vuoi. Quando è arrivato il sei giugno ho detto alla gente non vi preoccupate, siamo in buone mani. L’ ho detto a quelli del Campidoglio che erano ancora vivi, l’ho detto nei programmi televisivi, e l’ho detto personalmente ad almeno diecimila persone del mio distretto.”
Susan annuì. “Lo so.” E lo sapeva davvero. Quella piccola cosa era tornata fuori più volte nelle riunioni. Michael Parowski ti copre le spalle.
“Devi sapere una cosa di me, però,” disse lui. “Sono grosso. Fisicamente sono grosso, e ho una grossa personalità. Se stai cercando qualcuno che se ne stia nel retro a fare da tappezzeria, probabilmente non sono quello giusto.”
“Michael, ti abbiamo vagliato sotto ogni punto di vista. Sappiamo tutto di te. Non vogliamo che te ne stia sullo sfondo. Ti vogliamo in testa, a essere te stesso. Vogliamo la tua forza. Stiamo ricostruendo un governo qui e, in un certo senso, stiamo ricostruendo la fiducia delle persone nell’America. È un lavoro duro, e c’è molta roba pesante di cui occuparsi. È per questo che abbiamo scelto te.”
Lui la guardò in tralice. “Sapete tutto di me, eh?”
Sorrise. “Be’, quasi tutto. C’è ancora un mistero che mi piacerebbe risolvere.”
“Okay, abbocco,” disse. “Quale?”
“Quando tiri da parte le anziane agli eventi, che cosa sussurri?”
Grugnì. In viso gli apparve uno sguardo strano. Il volto quasi gli si trasformò, decadi di usura caddero. Per pochi secondi parve quasi (ma non del tutto) innocente, come il povero bambino che un giorno doveva essere stato.
“Dico loro quanto belle sono oggi,” disse. “Poi dico, ‘Non lo dica a nessuno. È il nostro piccolo segreto.’ E sono sincero, con ogni singola parola.”
Scosse la testa, e Susan pensò che fosse quasi di meraviglia – per le persone, i politici, per l’assoluta magnitudine e audacia di ciò che persone come lui e Susan facevano ogni singolo giorno delle loro vite.
“Funziona sempre,” disse.
11:45
Atlanta, Georgia
“Il signor Li sta bene? È da un po’ che non lo vedo qui.”
L’uomo era piccolo e magro, con una schiena stretta e inarcata all’indietro. Indossava un’uniforme grigia col nome Sal cucito da un lato del petto. Teneva sempre una sigaretta accesa in bocca. Parlava tenendola nella bocca. Sembrava non vedere mai necessità di togliersela finché non l’aveva finita. Poi se ne accendeva un’altra. In una mano teneva un pesante paio di tagliabulloni.
“Oh, sta bene,” disse Luke.
Percorrevano un lungo e ampio corridoio di calcestruzzo. Era illuminato da tremolanti luci fluorescenti che scendevano dal soffitto. Mentre camminavano un piccolo ratto sfrecciò davanti a loro, poi si precipitò lungo l’angolo in fondo del muro. Sal non parve pensare che il ratto valesse un commento, perciò Luke tenne la bocca chiusa. Guardò Ed. Ed sorrise e non disse nulla. Alle loro spalle, Swann tossiva.
Lo spazio di Li si trovava in un ampio e vecchio deposito che era stato suddiviso nel corso degli anni in molti spazi più piccoli. Li affittavano decine di minuscole aziende. C’era una zona di carico in fondo al corridoio, e il corridoio stesso era perfetto per caricare carrelli e trasportare i prodotti dentro e fuori.
Sal sembrava lavorare come una specie di manager o custode del posto. Inizialmente aveva esitato a cooperare. Ma quando Ed gli aveva mostrato il documento di identificazione dell’FBI, e Swann gli aveva mostrato il suo nuovo badge dell’NSA, Sal era diventato bramoso di compiacerli. Luke non gli aveva mostrato il distintivo. Era il suo vecchio documento dello Special Response Team, e l’SRT non esisteva più.
“In che genere di guai può trovarsi?” disse Sal.
Luke si strinse nelle spalle. “Nulla di troppo grosso. Guai con le tasse, guai con il marchio commerciale e violazioni di brevetto. Roba che ci si aspetta da uno che importa dalla Cina. Deve vedere cose così tutto il tempo, ho ragione? Qualche anno fa sono stato a Chongqing. Lì si può entrare nei depositi lungomare per comprare nuovi iPhone per cinquanta pezzi, e orologi Breitling per centocinquanta. Non sono veri, ovvio. Ma guardandoli non si noterebbe la differenza.”
Sal annuì. “Non crederebbe mai alla roba che vedo entrare e uscire da qui.” Si fermò davanti a una porta di lamiera d’acciaio ondulata, del tipo che si solleva dal fondo. “Comunque Li pare davvero un brav’uomo. Non parla un gran inglese, ma direi che se la cava col poco che ha. Ed è molto educato. Tutto inchini e sorrisi. Non sono sicuro di quanti affari faccia, però.”
La porta di metallo aveva una fibbia con una pesante serratura. Sal sollevò il tagliabulloni e con uno scatto rapido spezzò la serratura.
“Siete dentro,” disse. “Spero che troviate ciò che state cercando.”
Stava già percorrendo il corridoio verso il suo ufficio.
“Grazie dell’aiuto,” gli urlò Ed da dietro la spalla.
Sal sollevò una mano. “Sono americano.” Non si voltò.
Ed si sporse in avanti e tirò su la porta. Osservarono ciò che era visibile prima di entrare. Ed ficcò dentro una mano e lentamente la fece passare da un lato all’altro, su e giù, in cerca di fili.
Non era necessario. Il deposito di Li non era protetto da trappole. Anzi, sembrava abbandonato da molto. Quando Luke sollevò l’interruttore, metà delle lampade del soffitto non funzionò. Bancali avvolti nella plastica con su giocattoli da pochi soldi erano accatastati in file nelle tenebre, e coperti da cerata verde. Scatoloni di detergenti per la casa generici, non di marca, del tipo che si trovano nei negozi tutto a un dollaro e in outlet spazzatura, erano impilati in un angolo, ad arrivare quasi al soffitto. Tutto era coperto da un sottile strato di polvere. Quella roba stava lì da un po’.
Li pareva aver importato un carico di ciarpame per mantenere le apparenze, per poi non essersene più occupato.
“L’ufficio è laggiù,” disse Swann.
Nell’angolo in fondo del deposito c’era la porta che portava al piccolo ufficio. La porta era in legno, con un vetro satinato per il pannello in alto. Luke provò la maniglia. Chiusa a chiave. Guardò Ed e Swann.
“Qualcuno di voi ha con sé un piccone? Altrimenti dobbiamo tornare laggiù e spiegare a Sal che il crimine organizzato si è accaparrato il mercato con la merda di discount vecchia di un anno.”
Ed si strinse nelle spalle e prese le chiavi dalla tasca dei jeans. Il portachiavi aveva una piccola torcia. Ed impugnò la torcia come il più piccolo manganello del mondo, e la abbatté sulla finestra, rompendone il vetro. Si sporse oltre il buco e aprì la porta da dentro. Sollevò la torcia per l’ispezione di Luke.
“È come un piccone, ma più diretta.”
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