Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.
4 Io era già disposto tutto quanto
a riguardar ne lo scoperto fondo,
che si bagnava d’angoscioso pianto;
7 e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
che fanno le letane in questo mondo.
10 Come ’l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
13 ché da le reni era tornato ’l volto,
e in dietro venir li convenia,
perché ’l veder dinanzi era lor tolto.
16 Forse per forza già di parlasia
si travolse così alcun del tutto;
ma io nol vidi, né credo che sia.
19 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
com’ io potea tener lo viso asciutto,
22 quando la nostra imagine di presso
vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
le natiche bagnava per lo fesso.
25 Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
del duro scoglio, sì che la mia scorta
mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
28 Qui vive la pietà quand’ è ben morta;
chi è più scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta?
31 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;
per ch’ei gridavan tutti: «Dove rui,
34 Anfiarao? perché lasci la guerra?».
E non restò di ruinare a valle
fino a Minòs che ciascheduno afferra.
37 Mira c’ha fatto petto de le spalle;
perché volse veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.
40 Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne,
cangiandosi le membra tutte quante;
43 e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.
46 Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
49 ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e ’l mar non li era la veduta tronca.
52 E quella che ricuopre le mammelle,
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
e ha di là ogne pilosa pelle,
55 Manto fu, che cercò per terre molte;
poscia si puose là dove nacqu’ io;
onde un poco mi piace che m’ascolte.
58 Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
e venne serva la città di Baco,
questa gran tempo per lo mondo gio.
61 Suso in Italia bella giace un laco,
a piè de l’Alpe che serra Lamagna
sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.
64 Per mille fonti, credo, e più si bagna
tra Garda e Val Camonica e Pennino
de l’acqua che nel detto laco stagna.
67 Loco è nel mezzo là dove ’l trentino
pastore e quel di Brescia e ’l veronese
segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
70 Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
ove la riva ’ntorno più discese.
73 Ivi convien che tutto quanto caschi
ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
e fassi fiume giù per verdi paschi.
76 Tosto che l’acqua a correr mette co,
non più Benaco, ma Mencio si chiama
fino a Governol, dove cade in Po.
79 Non molto ha corso, ch’el trova una lama,
ne la qual si distende e la ’mpaluda;
e suol di state talor esser grama.
82 Quindi passando la vergine cruda
vide terra, nel mezzo del pantano,
sanza coltura e d’abitanti nuda.
85 Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
ristette con suoi servi a far sue arti,
e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
88 Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
s’accolsero a quel loco, ch’era forte
per lo pantan ch’avea da tutte parti.
91 Fer la città sovra quell’ ossa morte;
e per colei che ’l loco prima elesse,
Mantua l’appellar sanz’ altra sorte.
94 Già fuor le genti sue dentro più spesse,
prima che la mattia da Casalodi
da Pinamonte inganno ricevesse.
97 Però t’assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
la verità nulla menzogna frodi».
100 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son sì certi e prendon sì mia fede,
che li altri mi sarien carboni spenti.
103 Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
ché solo a ciò la mia mente rifiede».
106 Allor mi disse: «Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
fu – quando Grecia fu di maschi vòta,
109 sì ch’a pena rimaser per le cune -
augure, e diede ’l punto con Calcanta
in Aulide a tagliar la prima fune.
112 Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
l’alta mia tragedìa in alcun loco:
ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
115 Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe ’l gioco.
118 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente.
121 Vedi le triste che lasciaron l’ago,
la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
fecer malie con erbe e con imago.
124 Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
d’amendue li emisperi e tocca l’onda
sotto Sobilia Caino e le spine;
127 e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda».
130 Sì mi parlava, e andavamo introcque.
Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
4 restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mirabilmente oscura.
7 Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
10 ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece;
13 chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa – :
16 tal, non per foco ma per divin’ arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
19 I’ vedea lei, ma non vedea in essa
mai che le bolle che ’l bollor levava,
e gonfiar tutta, e riseder compressa.
22 Mentr’ io là giù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
mi trasse a sé del loco dov’ io stava.
25 Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura subita sgagliarda,
28 che, per veder, non indugia ’l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
31 Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
34 L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.
37 Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzian di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche
40 a quella terra, che n’è ben fornita:
ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita».
43 Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.
46 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!
49 qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio».
52 Poi l’addentar con più di cento raffi,
disser: «Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
55 Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli.
58 Lo buon maestro «Acciò che non si paia
che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;
61 e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
perch’ altra volta fui a tal baratta».
64 Poscia passò di là dal co del ponte;
e com’ el giunse in su la ripa sesta,
mestier li fu d’aver sicura fronte.
67 Con quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani addosso al poverello
che di sùbito chiede ove s’arresta,
70 usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt’ i runcigli;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
73 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l’un di voi che m’oda,
e poi d’arruncigliarmi si consigli».
76 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi -
e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
79 «Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto», disse ’l mio maestro,
«sicuro già da tutti vostri schermi,
82 sanza voler divino e fato destro?
Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto
ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».
85 Allor li fu l’orgoglio sì caduto,
ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
88 E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
sicuramente omai a me ti riedi».
91 Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;
94 così vid’ io già temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sé tra nemici cotanti.
97 I’ m’accostai con tutta la persona
lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
da la sembianza lor ch’era non buona.
100 Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».
E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
103 Ma quel demonio che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
106 Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
iscoglio non si può, però che giace
tutto spezzato al fondo l’arco sesto.
109 E se l’andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
presso è un altro scoglio che via face.
112 Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta.
115 Io mando verso là di questi miei
a riguardar s’alcun se ne sciorina;
gite con lor, che non saranno rei».
118 «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.
121 Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,
Ciriatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo.
124 Cercate ’ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino a l’altro scheggio
che tutto intero va sovra le tane».
127 «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli,
se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.
130 Se tu se’ sì accorto come suoli,
non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
e con le ciglia ne minaccian duoli?».
133 Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».
136 Per l’argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;
139 ed elli avea del cul fatto trombetta.
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