Più o meno negli stessi istanti in cui Chloe ricordava cosa volesse dire perdersi in un uomo, sua sorella era nel bel mezzo di un incubo.
Danielle Fine stava sognando di nuovo sua madre. Era un sogno ricorrente che faceva da quando aveva dodici anni, e in ogni fase della sua vita sembrava assumere un significato diverso. Il sogno in sé, tuttavia, era sempre lo stesso, non cambiava mai.
Nel sogno, sua madre la rincorreva in un lungo corridoio. Solo che era come lei e Chloe l’avevano trovata quel giorno, da bambine: sanguinante, con gli occhi sbarrati e senza vita. Per qualche ragione, la mente di Danielle aveva deciso che doveva essersi rotta una gamba nella caduta (nonostante nulla del genere fosse riportato nei verbali ufficiali), perciò la madre del sogno si trascinava zoppicando all’inseguimento della figlia.
Nonostante la ferita, il cadavere della madre riusciva sempre a starle alle calcagna, a pochi centimetri di distanza: avrebbe potuto quasi afferrarle la caviglia e farla finire a terra. Danielle scappava da quella visione raccapricciante terrorizzata, con gli occhi rivolti in fondo al corridoio. Là, in piedi davanti ad una porta che sembrava lontanissima, c’era suo padre.
Lui era sempre in ginocchio con le braccia spalancate e un gran sorriso stampato in viso. Le sue mani, però, gocciolavano sangue e in quell’istante di panico che finiva sempre per farla svegliare, Danielle smetteva di correre, ritrovandosi intrappolata tra la madre morta e il padre pazzo, non sapendo da che parte fuggire.
E il sogno non era diverso ora. Arrivata a quel punto, Danielle si svegliò all’improvviso. Si tirò su a sedere nel letto lentamente, così abituata, ormai, da capire che si trattava di un sogno prima ancora di essersi completamente svegliata. Assonnata, guardò l’orologio e vide che erano ancora le 23:30. Stavolta aveva dormito appena un’ora, prima che il sogno iniziasse.
Tornò a stendersi, consapevole che le ci sarebbe voluto un po’ prima di riaddormentarsi. Scacciò il sogno dalla sua mente; ormai aveva imparato molti anni prima come allontanarlo, ricordando a se stessa che non c’era niente che avrebbe potuto fare per impedire la morte di sua madre. Anche se avesse rivelato tutti i suoi piccoli segreti sulle cose che aveva visto, sentito e provato di persona sulla personalità tossica del padre, nulla di ciò che avrebbe detto o fatto avrebbe potuto salvare la madre.
Si girò e guardò il comodino, tentata di prendere il telefono e chiamare Chloe. Erano passate settimane dall’ultima volta che si erano sentite. Le cose tra loro erano tese e impacciate, ed era colpa sua. Sapeva di aver proiettato molta della sua negatività su Chloe, principalmente perché Chloe non odiava il loro padre con la sua stessa intensità e trasporto. Era stata Danielle a chiamarla, tre settimane prima, dopo aver capito che Chloe si aspettava fosse lei a fare il primo passo, dopo l’ultima conversazione che avevano avuto e che non era andata così bene... quando Danielle praticamente aveva detto alla sorella di non provare a contattarla.
Però non conosceva le abitudini di Chloe, non aveva idea se le 23:30 fosse troppo tardi per lei. A dire il vero, ultimamente Danielle faticava a prendere sonno prima delle due di notte. Quella era una delle rare sere in cui non era di turno al locale, né era richiesta per firmare documenti per la ristrutturazione del bar che il suo ragazzo le aveva comprato.
Allontanò dalla mente tutti i pensieri sul lavoro, cercando di dormire. Se si fosse messa a pensare a tutto quello che aveva in ballo, non si sarebbe mai riaddormentata.
Ancora una volta, ripensò a Chloe. Si domandò che genere di sogni facesse lei sui loro genitori. Si chiese se fosse ancora fissata con l’idea di liberare il padre e avesse semplicemente deciso di non dirglielo.
Finalmente il sonno la reclamò. L’ultimo pensiero di Danielle prima di addormentarsi fu per Chloe: si chiese so fosse arrivato il momento di perdonare e dimenticare, mettendo da parte i ricordi del padre per evitare che le impedissero un bel rapporto con Chloe.
Si stupì di quanto quel pensiero la rendesse felice... così felice che quando si riaddormentò lo fece col sorriso sulle labbra.
***
La giovane barista che era stata assunta per sostituirla aveva imparato presto. Aveva vent’anni, bella da morire, ed era una specie di prodigio a capire gli uomini ubriachi. Dato che se la cavava tanto bene, Danielle riuscì a incontrare il suo ragazzo e gli imprenditori nell’edificio che sarebbe diventato il suo pub e ristorante dopo appena un mese e mezzo.
Quel giorno erano in corso i lavori per l’impianto climatizzatore, mentre in una stanza sul retro, che sarebbe stata una sala prenotabile per grosse feste, venivano applicati dei pannelli alle pareti. Quando Danielle arrivò, il suo ragazzo stava leggendo un contratto con l’elettricista. Erano seduti ad uno dei tavoli che erano arrivati da poco – che Danielle aveva potuto scegliere fra tre tipi diversi, da sistemare nel ristorante.
Il suo ragazzo la vide entrare. Disse qualcosa all’elettricista e la raggiunse. Si chiamava Sam Dekker e, anche se non era l’uomo più onesto e intelligente del mondo, aveva una bellezza rude e un acume per gli affari a compensare. Era più alto di lei di una ventina di centimetri, così dovette chinarsi per scoccarle un rapido bacio.
“Eccomi a rapporto” disse Danielle. “Che posso fare, oggi?”
Sam si strinse nelle spalle, guardandosi intorno in modo quasi teatrale. “Sinceramente, non credo ci sia molto che tu possa fare. Sta andando tutto per il verso giusto. So che potrà sembrarti sciocco, ma forse potresti sfogliare il catalogo per vedere quali alcolici preferisci servire. Poi potresti decidere dove piazzare le casse sul soffitto, per la musica. Quelle sono cose che di solito si tralasciano e che poi saltano fuori nel momento meno opportuno.”
“Ok, lo farò” disse lei un po’ delusa.
A volte, quando arrivava al cantiere, aveva l’impressione che Sam volesse semplicemente tenerla impegnata, affidandole compiti banali così da poter gestire lui le cose importanti. In un certo senso sembrava che la sottovalutasse, ma del resto era consapevole che Sam sapeva quel che faceva. Aveva aperto tre bar, che stavano andando benissimo, e l’anno prima aveva venduto uno di essi ad una grossa società per più di dieci milioni di dollari.
E adesso aveva deciso di aiutarla ad aprire il suo locale. Era stato lui a convincerla, insistendo che sarebbe stata perfetta per gestire un posto del genere, una volta che ogni cosa fosse stata al suo posto.
Di solito le ragazze escono con i tipi ricchi per avere gioielli e macchine, pensò raggiungendo l’area che sarebbe diventata il bar. E io... ho avuto un locale. Non male, direi.
A volte, quando pensava a ciò che la aspettava, non si sentiva all’altezza. Sarebbe stata lei la responsabile del locale. Avrebbe gestito tutto e avrebbe preso tutte le decisioni. Oltre a ciò, si sentiva un po’ in colpa. Le sembrava che l’opportunità le si fosse presentata unicamente perché era finita in una relazione con un ragazzo che sapeva il fatto suo quando si trattava di affari. Di conseguenza, era consapevole che c’erano cose che avrebbe dovuto sacrificare, dandola vinta a Sam. Non faceva mai domande quando tornava tardi la sera, dando per buono quello che diceva lui, ovvero che era stato a riunioni o cene con gli appaltatori. Aveva preso parte lei stessa ad alcuni di quegli incontri, perciò sapeva che era la verità – quasi sempre.
Inoltre, sentiva di dovergli dimostrare la propria riconoscenza ad ogni occasione. E questo significava non lagnarsi se non si vedevano per giorni e giorni. Significava non prendersela quando lui pretendeva certe cose in camera da letto. Significava non incazzarsi perché, nonostante le avesse comprato un locale, non aveva mai menzionato una sola volta il matrimonio. Danielle era quasi certa che Sam non avesse alcuna intenzione di sposarsi. E per il momento a lei stava bene così, non vedeva motivo di litigare per quello.
Inoltre... cos’aveva da lamentarsi? Aveva finalmente conosciuto un uomo che la trattava come una regina – quando c’era – e adesso lei sembrava a un passo da un successo senza sforzi.
È perché sembra tutto troppo bello per essere vero, e di solito c’è sotto la fregatura, pensò.
Arrivata nella futura zona bar, aprì sul cellulare la piantina del progetto. Segnò dove avrebbe potuto far installare le casse e aggiunse anche un appunto sulla possibilità di aggiungere una vetrata scura sulla parete posteriore. Era in quei momenti che aveva la sensazione che il suo sogno si stesse trasformando in realtà. Che stava davvero succedendo a lei.
“Ehi...”
Si voltò e vide Sam sulla soglia. Le sorrideva e la guardava con l’espressione famelica che aveva spesso quando era su di giri.
“Ehi” ripeté lei.
“Lo so che sembrava volessi liberarmi di te. Ma è vero... nelle prossime settimane tutto ciò che dovrai fare sarà solo mettere qualche firma qua e là.”
“Mi fai lavorare troppo” scherzò Danielle.
“Avevo previsto che l’addestramento della nuova barista ti avrebbe tenuta impegnata molto più a lungo. Non è colpa mia se abbiamo assunto un genio.” Si avvicinò e le mise le braccia intorno alla vita. Danielle doveva sollevare la testa per guardarlo negli occhi, ma per qualche strano motivo questo la faceva sentire al sicuro, le dava l’impressione che lui potesse vegliare su di lei.
“Mangiamo qualcosa insieme, più tardi?” disse Sam. “Qualcosa di semplice. Una pizza e una birra.”
“Per me va bene.”
“E domani... che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte? Al mare... in South Carolina un posto del genere.”
“Dici sul serio? Mi sembra un’idea improvvisa e avventata, visto tutto il lavoro che c’è ancora da fare qui. In altre parole... non è affatto da te.”
“Lo so, ma sono stato così preso da questo progetto... mi sono accorto di averti trascurata. Ecco perché voglio farmi perdonare.”
“Sam, tu mi stai dando un’attività tutta mia. Hai già fatto tanto per me.”
“D’accordo, allora diciamo che voglio essere egoista. Voglio allontanarmi da tutto questo e stare nudo e solo con te vicino al mare. Così è meglio?”
“In realtà sì.”
“Bene, allora vai al pub e controlla la nuova arrivata. Passo a prenderti verso mezzogiorno.”
Danielle lo baciò e, anche se Sam chiaramente stava correndo troppo, non le era sfuggito il suo sforzo. Sapeva che per lui era difficile mostrarsi sincero ed emotivo. Vedeva raramente quel lato di lui, perciò quando capitava non si azzardava a mettere in dubbio le sue parole.
Danielle attraversò lo spazio ancora per lo più aperto del vecchio edificio in mattoni che sarebbe presto diventato il suo bar-barra-ristorante. Era difficile pensare che fosse suo, ma era proprio così.
Quando uscì, il sole le sembrava più splendente di quando era arrivata. Sorrise, cercando ancora di capacitarsi di come fosse cambiata la sua vita. Ripensò a Chloe e decise di chiamarla presto. Tutto nella sua vita stava andando talmente bene che poteva tentare anche di recuperare il suo rapporto con Chloe.
Salì in macchina e partì verso l’altro locale di Sam, il locale in cui l’aveva assunta sei mesi prima. Era così distratta dal pensiero di andare via con lui per il fine settimana che non notò l’auto ferma dall’altra parte della strada, che si immise nel traffico dietro di lei.
Se l’avesse notata, probabilmente avrebbe riconosciuto l’uomo alla guida, nonostante non lo vedesse da molto tempo.
Poteva forse una figlia dimenticare che faccia aveva il padre?
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