Mentre camminava sull’asfalto della pista, diretta all’aereo, Riley continuò a interrogarsi sul nuovo caso. Ma c’era una cosa che doveva fare prima di esserne troppo assorbita.
Inviò un messaggio a Mike Nevins.
Scrivimi se Bill si presenta. Scrivimi se non lo fa.
Emise un sospiro di sollievo, quando Mike rispose immediatamente.
Lo farò.
Riley si disse che aveva fatto tutto il possibile per Bill, e spettava a lui trarre il meglio dall’aiuto ricevuto. Se c’era qualcuno in grado di aiutarlo ad affrontare le cose che lo stavano tormentando, quello era certamente Mike.
Salì sulla scaletta ed entrò nella cabina, dove Jenn Roston era già seduta, intenta a lavorare al proprio computer portatile. La giovane sollevò lo sguardo e annuì a Riley, mentre quest’ultima si sedeva dall’altra parte del tavolino di fronte a lei.
Riley annuì in risposta.
Poi, guardò fuori dal finestrino durante il decollo, mentre l’aereo raggiungeva l’altitudine di crociera. Non le piaceva il gelido silenzio tra lei e Jenn. Si chiese se neanche alla giovane piacesse. Quei voli erano normalmente un buon momento per discutere sui dettagli di un caso. Ma non c’era ancora nulla da dire su questo caso. Il corpo era appena stato trovato quella mattina, dopotutto.
Riley prese una rivista dalla sua valigia, e provò a leggere, ma non riusciva a concentrarsi sulle parole. Avere Jenn seduta di fronte a sé, così silenziosa, la distraeva troppo. Alla fine, Riley si limitò a starsene seduta e fingere di leggere.
Questi giorni, è la storia della mia vita, pensò.
Fingere e stare seduta stava diventando una routine.
Infine, la giovane agente sollevò lo sguardo dal proprio computer.
“Agente Paige, quello che ho detto all’incontro con Meredith era vero” disse.
“Chiedo scusa?” Riley chiese, sollevando lo sguardo dalla rivista.
“Del fatto che mi sento onorata a lavorare con lei. Era un mio sogno. Seguo il suo lavoro sin da quando ho iniziato l’accademia.”
Per un istante, Riley non seppe che cosa dire. Jenn le aveva detto circa la stessa cosa prima. Ma ancora una volta, non riusciva a stabilire dall’espressione della collega se fosse sincera.
“Ho sentito grandi cose su di te” Riley esclamò.
Per quanto suonasse evasivo, almeno era vero. In diverse circostanze, Riley sarebbe stata eccitata alla possibilità di lavorare con un’intelligente giovane agente.
Riley aggiunse con un sorriso debole: “Ma non avrei aspettative se fossi in te, non per questo caso.”
“Certo” disse Jenn. “Probabilmente, non si tratta nemmeno di un caso per il BAU. E’ possibile che torneremo a Quantico stasera. Ma ce ne saranno degli altri.”
Jenn tornò a rivolgere l’attenzione al suo computer. Riley si chiese se stesse lavorando sui file di Shane Hatcher. E naturalmente, era di nuovo preoccupata per aver dato alla ragazza quella chiavetta USB.
Ma mentre era seduta a rifletterci, si rese conto di una cosa. Se Jenn avesse davvero avuto in mente di ingannarla, quando le aveva chiesto quei dati, avrebbe già dovuto utilizzarle contro di lei …
Ricordò ciò che la giovane le aveva detto il giorno precedente.
“Sono sicura che vogliamo esattamente la stessa cosa: mettere fine alla carriera criminale di Shane Hatcher.”
Se era vero, Jenn era realmente un’alleata di Riley.
Ma come poteva esserne sicura? Restò seduta a considerare se introdurre o meno l’argomento.
Non aveva raccontato a Jenn della minaccia ricevuta da Hatcher.
C’era davvero una ragione per non farlo?
Jenn avrebbe potuto davvero aiutarla in qualche modo? Forse, ma Riley non si sentiva ancora pronta a fare quel passo.
Intanto, le sembrava piuttosto strano che la sua nuova partner si rivolgesse a lei ancora come Agente Paige, mentre voleva che Riley la chiamasse per nome.
“Jenn” le disse.
Jenn distolse lo sguardo dallo schermo.
“Penso che dovresti chiamarmi Riley” aggiunse.
Jenn sorrise lievemente, e tornò a rivolgere la propria attenzione al computer.
Riley mise da parte la rivista e si mise a guardare fuori dal finestrino, in direzione delle nuvole sottostanti. Il sole splendeva, ma Riley non lo trovò affatto allegro.
Si sentiva terribilmente sola. Le mancava la presenza di Bill, di cui fidarsi e con cui confidarsi.
E Lucy le mancava tanto da far male.
Quando l’aereo atterrò all’Aeroporto Internazionale di Des Moines, Riley riuscì a controllare il cellulare. Fu contenta di vedere che aveva ricevuto un messaggio da Mike Nevins..
Bill è qui con me adesso.
Era una cosa in meno di cui preoccuparsi.
Un’auto della polizia stava aspettando fuori dall’aereo. Due poliziotti di Angier si presentarono alla base dell’area d’imbarco. Darryl Laird era un giovane allampanato sui vent’anni; Howard Doty era molto più basso e aveva sulla quarantina.
Entrambi avevano un’espressione sbalordita sulla faccia.
“Siamo felici che siate qui” Doty disse a Riley e Jenn, mentre i due poliziotti le accompagnarono all’auto.
Laird disse: “Tutta questa storia è proprio …”
L’uomo più giovane scosse la testa, senza terminare la sua frase.
Poverini, pensò Riley.
Erano soltanto degli ordinari poliziotti di una piccola città. Senz’altro gli omicidi erano rari per una cittadina dell’Iowa. Forse, il poliziotto più anziano si era occupato di uno o due omicidi una volta o l’altra, ma Riley immaginava che quello più giovane non avesse mai affrontato una cosa simile prima d’ora.
Appena Doty cominciò a guidare, Riley chiese ai due poliziotti di dire a lei e Jenn tutto quello che sapevano su quanto avvenuto.
Doty disse: “La ragazza si chiamava Katy Philbin, diciassette anni. Una studentessa alla Wilson High. I genitori possiedono la farmacia locale. Era una brava ragazza, piaceva a tutti. Il vecchio George Tully si è imbattuto nel suo corpo stamattina, quando lui e i suoi ragazzi si stavano preparando per la semina primaverile. Tully ha una fattoria pochi chilometri fuori da Angier.”
Jenn chiese: “Sapete da quanto tempo fosse sepolta lì?”
“Dovrete chiederlo al Capo Sinard. O al coroner.”
Riley ripensò al poco che Meredith era riuscito a dire loro in merito alla situazione.
“Che mi dice dell’altra ragazza?” chiese ancora lei. “Quella che è sparita prima dell’omicidio?”
“Si tratta di Holly Struthers” Laird rispose. “Era … ecco, immagino che studi nel nostro altro liceo, il Lincoln. E’ scomparsa da circa una settimana. Tutta la città spera che torni prima o poi. Ma ora… ecco, credo che dovremmo continuare a sperare.”
“E pregare” Doty aggiunse.
Riley sentì un brivido gelido, a quelle parole. Le tornarono in mente tutte le volte in cui aveva sentito dire che stavano pregando affinché una persona scomparsa tornasse indietro sana e salva. Non aveva mai avuto l’impressione che la preghiera fosse stata d’aiuto in un modo o nell’altro.
Fa sentire meglio le persone? si chiese.
Non riusciva ad immaginare perché o come.
Era un luminoso e bel pomeriggio, quando l’auto lasciò Des Moines e si ritrovò su un’ampia autostrada. Dopo poco, Doty uscì su una strada a doppia corsia, che attraversava la campagna leggermente ondulata.
Riley provò una strana ed assillante sensazione allo stomaco. Le ci vollero alcuni istanti per comprendere che quella sensazione non aveva a che fare con il caso, almeno non direttamente.
Si sentiva spesso così, ogni volta che aveva un lavoro da svolgere nel Midwest. Normalmente non pativa gli spazi aperti, quindi l’agorafobia, come pensava si chiamasse. Ma i vasti pianori e le praterie le suscitavano ansia.
Riley non sapeva che cosa fosse peggio: le distese piatte che aveva visto in stati come il Nebraska, che si estendevano fino a dove l’occhio riusciva a vedere, o la monotona prateria ondulata come quella, nella quale continuavano ad apparire fattorie, cittadine e campi identici. Ad ogni modo, lei lo trovò inquietante, persino un po’ nauseante.
Sebbene il Midwest fosse reputato terra di salubri valori tipicamente americani, in qualche modo, non la sorprese che le persone commettessero degli omicidi lì. Per quanto la riguardava, solo la campagna sarebbe stata sufficiente a fare impazzire una persona.
In parte per allontanare la sua mente dal paesaggio, Riley tirò fuori il cellulare, per inviare un messaggio a tutta la sua famiglia, composta da April, Jilly, Liam e Gabriela.
Sono arrivata sana e salva.
Rifletté per un momento, poi aggiunse …
Già mi mancate tutti. Ma probabilmente tornerò prima che ve ne accorgiate.
Dopo circa un’ora che erano sulla strada a doppia corsia, Doty svoltò su una sterrata.
Mentre continuava a guidare, disse: “Stiamo arrivando alla terra di George Tully ora.”
Riley si guardò intorno. Il panorama era sempre uguale: vasti ettari di campi non coltivati interrotti da canali, recinzioni e file di alberi. Notò una sola grande casa nel bel mezzo del tutto, proprio accanto ad un fienile diroccato. Immaginava che dovesse trattarsi dell’abitazione di Tully e della sua famiglia.
Era una casa dall’apparenza strana, che sembrava essere stata allargata nel corso degli anni, probabilmente nell’arco di diverse generazioni.
Dopo poco videro dinnanzi a loro il veicolo del coroner, parcheggiato sul bordo della strada. Diverse altre auto erano ferme nelle vicinanze. Doty parcheggiò proprio dietro il furgone del coroner, e Riley e Jenn seguirono lui e il più giovane partner in un campo recentemente coltivato.
Riley vide tre uomini fermi, accanto a un punto in cui la terra era stata scavata. Non riuscì a stabilire che cosa fosse stato trovato lì, ma intravide un pezzo di stoffa dai colori vivaci fluttuare nella brezza primaverile.
E’ lì che è stata seppellita, realizzò.
Ed in quel preciso momento, Riley fu colpita da una strana sensazione.
L’idea che lei e Jenn non avrebbero fatto nulla in quel posto era svanita.
Avevano del lavoro da fare: una ragazza era morta, e non si sarebbero fermate fino a quando il killer non fosse stato trovato.
Due persone erano ferme accanto ad un corpo, che era stato appena scoperto. Riley si diresse verso uno di loro, un uomo robusto di circa la sua età.
“Il Capo Joseph Sinard, presumo” lei disse, offrendogli la mano.
L’uomo annuì e le strinse la mano.
“La gente di qui mi chiama semplicemente Joe.”
Sinard indicò un uomo obeso e dall’espressione annoiata sulla cinquantina, che era accanto a lui: “Questo è Barry Teague, il coroner della contea. Voi due siete le agenti dell’FBI che stavamo aspettando, immagino.”
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