La fiamma bianca della torcia al propano oscillava di fronte a Riley. Dovette schivarla avanti e indietro, per evitare di bruciarsi. La luminosità l'accecava e non riusciva nemmeno più a vedere il volto del suo carceriere. Mentre la torcia oscillava, sembrava lasciare tracce persistenti nell'aria.
“Smettila!” lei gridò.“Smettila!”
La sua voce era debole e rauca per aver gridato troppo. Si chiese perché stava perdendo fiato. Lei sapeva che non avrebbe smesso di tormentarla finché non fosse morta.
Proprio allora, lui sollevò una tromba pneumatica e la soffiò nell'orecchio di lei.
Si sentì suonare il clacson di un'auto. Riley ripiombò nel presente, e alzò lo sguardo, notando che la luce del semaforo all'incrocio era diventata verde. Una fila di auto attendeva dietro il veicolo, e lei pigiò l'acceleratore.
Riley, con i palmi sudati, scacciò quel ricordo e rammentò a se stessa dove fosse. Stava andando a far visita a Marie Sayles, la sola altra sopravvissuta dell'indicibile sadismo del suo quasi assassino. Si rimproverò per essersi lasciata sopraffare da quei ricordi. Era riuscita a concentrarsi sulla guida ormai da un'ora e mezza, e aveva pensato che stava andando bene.
Riley arrivò a Georgetown, passando davanti a prestigiose case vittoriane, e parcheggiò all'indirizzo che Marie le aveva dato al telefono, una casa cittadina di mattoni rossi con uno splendido bovindo. Restò seduta in auto per un momento, chiedendosi se entrare o meno, e provando a fare appello al suo coraggio.
Infine, uscì dall'auto. Mentre percorreva le scale, fu felice di vedere Marie, che l'accoglieva sulla soglia della porta. Vestita in modo cupo ma elegante, Marie sorrise in qualche maniera, tristemente. Il suo viso appariva stanco e tirato. Dai cerchi sotto gli occhi, Riley fu certa che avesse pianto. Il che non era affatto sorprendente. Con Marie si erano viste molte volte in quelle settimane, tramite la videochat, e c'era ben poco che potessero nascondersi a vicenda.
Quando si abbracciarono, Riley scoprì immediatamente che Marie non era così alta e robusta come si aspettava che fosse. Persino con i tacchi, Marie era più bassa di lei, apparendo piccola e delicata. Il che sorprese Riley. Lei e Marie avevano parlato molto, ma questa era la prima volta che si incontravano di persona. L'esiguità di Marie la faceva sembrare molto più coraggiosa ad essere sopravvissuta a quello che le era successo.
Riley tornò alla realtà, mentre con Marie andavano in sala da pranzo. La stanza era immacolata e arredata con gusto. Normalmente, sarebbe stata una casa gioiosa per una donna single di successo. Ma Marie teneva tutte le tende abbassate, e le luci basse. L'atmosfera era stranamente oppressiva. Riley non intendeva ammetterlo, ma questo le fece pensare alla sua stessa casa.
Marie aveva un pranzo leggero pronto sul tavolo della sala da pranzo, e, insieme a Riley si sedettero a mangiare. Restarono lì in un impacciato silenzio. Riley stava sudando ma non ne conosceva il motivo. Vedere Marie le stava riportando tutto alla mente.
“Allora . . . come ci si sente?” Marie chiese con esitazione. “Uscire fuori nel mondo?”
Riley sorrise. Marie sapeva meglio di chiunque altro che cosa avesse significato il viaggio fin lì di quel giorno.
“Molto bene” Riley rispose. “A dire il vero, abbastanza bene. Ho avuto soltanto un brutto momento, dico davvero.”
Marie annuì, comprendendo chiaramente.
“Ecco, ce l'hai fatta” Marie disse. “E sei stata coraggiosa.”
Coraggiosa, Riley pensò. Non è così che avrebbe descritto se stessa. Una volta, forse, quando era un'agente attiva. Sarebbe mai riuscita a descriversi di nuovo in quel modo?
“E tu?” Riley le chiese. “Quanto esci?”
Marie piombò nel silenzio.
“Non esci affatto, vero?” Riley domandò.
Marie scosse la testa.
Riley si allungò e le strinse il polso in segno di compassione.
“Marie, devi tentare” lei la incoraggiò. “Se resti chiusa qui dentro in questo modo, è come se lui ti tenesse ancora prigioniera.”
Un singhiozzo strozzato uscì dalla gola di Marie.
“Mi dispiace” Riley disse.
“Va tutto bene. Hai ragione.”
Riley osservò Marie, mentre mangiavano entrambe per un momento, e ci fu un istante di lungo silenzio. Lei voleva credere che Marie stesse bene, ma dovette poi ammettere che appariva fragile in modo allarmante. Questo le fece temere anche per se stessa. Anche lei era messa così male?
Riley si chiese silenziosamente se fosse positivo per Marie vivere da sola. Sarebbe stata meglio con un marito o un fidanzato? si domandò. Poi, si pose lo stesso quesito su se stessa ma sapeva che la risposta per entrambe era: probabilmente no. Nessuna di loro era in uno stato emotivo tale da sostenere un rapporto solido. Sarebbe stato semplicemente una stampella.
“Ti ho mai ringraziato?” Marie chiese dopo un po', rompendo il silenzio.
Riley sorrise. Sapeva perfettamente bene che Marie si riferisse al fatto che lei l'avesse salvata.
“Molte volte” Riley rispose. “E non hai bisogno di farlo. Davvero.”
Marie raccolse il cibo con una forchetta.
“Ho mai detto che mi dispiace?”
Riley fu sorpresa. “Ti dispiace? E per che cosa?”
Marie parlò con difficoltà.
“Se non mi avessi tirata fuori di lì, non saresti stata catturata.”
Riley strinse gentilmente la mano di Marie.
“Marie, stavo solo facendo il mio lavoro. Non puoi sentirti in colpa per qualcosa di cui non sei responsabile. E' già dura per te così com'è.”
Marie annuì, in segno di comprensione.
“Il solo alzarsi dal letto al mattino è una sfida” lei ammise. “Immagino che hai notato quanto è buia questa casa. Qualsiasi luce forte mi ricorda quella torcia che usava lui. Non riesco neanche a guardare la televisione o ad ascoltare la musica. Ho paura che qualcuno possa entrare in casa e che io non me ne accorga. Qualsiasi rumore mi crea uno stato di panico.”
Marie cominciò a piangere silenziosamente.
“Non guarderò più il mondo nello stesso modo. Mai. C'è il male là fuori, tutto intorno a noi. Non ne avevo idea. Le persone sono capaci di commettere tali orribili cose. Non so se riuscirò mai a fidarmi di nuovo delle persone.”
Mentre Marie piangeva, Riley volle rassicurarla, dirle che si sbagliava. Ma una parte di Riley non era sicura che fosse proprio così.
Poi, Marie la guardò.
“Perché sei venuta qui oggi?” lei chiese di punto in bianco.
Riley fu colta di sorpresa dalla franchezza di Marie, e dal fatto che lei stessa non conoscesse la risposta.
“Non lo so” fu la risposta. “Volevo soltanto venire a trovarti. Assicurarmi di come stessi.”
“C'è dell'altro” Marie disse, rimpicciolendo gli occhi con una percezione inspiegabile.
Forse aveva ragione, pensò Riley. Pensò poi alla visita di Bill, e si rese conto di essere andata lì realmente a causa del nuovo caso. Che cosa voleva da Marie? Consiglio? Permesso? Incoraggiamento? Rassicurazione? Una parte di lei voleva che Marie le dicesse che era pazza, così che potesse riposarsi definitivamente e dimenticare Bill. Ma, forse, un'altra parte di lei desiderava che Marie la costringesse a farlo.
Infine, Riley sospirò.
“C'è un nuovo caso” lei disse. “Ecco, non un nuovo caso. Ma uno vecchio che non è mai stato risolto.”
L'espressione sul volto di Marie divenne tesa e severa.
Riley deglutì.
“E tu sei venuta a chiedere se dovresti farlo?” Marie chiese.
Riley sollevò le spalle. Ma guardò anche in alto, e cercò lo sguardo di Marie, affinché la rassicurasse, incoraggiasse. E, in quel momento, realizzò che era proprio quello che sperava di trovare lì.
Ma, con sua grande delusione, Marie abbassò gli occhi e scosse lentamente la testa. Riley continuò ad attendere una risposta, ma seguì un infinito silenzio. Riley sentiva che una sorta di timore particolare si stava insinuando in Marie.
Nel silenzio, Riley si guardò intorno nell'appartamento, e i suoi occhi si posarono sul telefono fisso di Marie. Notò con sorpresa che era scollegato.
“Che cosa non va con il tuo telefono?” Riley chiese.
Marie apparve positivamente colpita, e Riley si rese conto di aver toccato un nervo scoperto.
“Lui continua a chiamarmi” Marie disse, in un sussurro appena percepibile.
“Chi?”
“Peterson.”
Il cuore di Riley le uscì quasi fuori dal petto.
“Peterson è morto” Riley replicò, con voce tremante. “Io stessa ho dato fuoco al posto. Hanno trovato il suo corpo.”
Marie scosse la testa.
“Possono aver trovato chiunque. Non era lui.”
Riley fu colpita da un'ondata di panico. Le sue stesse paure stavano riemergendo.
“Tutti dicono che era lui” Riley disse.
“E tu lo credi davvero?”
Riley non seppe che cosa dire. Ora non era affatto il momento di confidarle le sue stesse paure. Dopotutto, Marie probabilmente stava delirando. Ma come poteva Riley convincerla di qualcosa a cui lei stessa proprio non credeva?
“Lui continua a chiamare” Maria disse di nuovo. “Chiama e respira, poi mette giù. So che è lui. E' vivo. Mi sta ancora perseguitando.”
Riley ebbe un pessimo presentimento.
“Probabilmente si tratta soltanto di un tizio osceno che telefona” ribatté, fingendosi calma. “Ma posso chiedere al Bureau di verificare comunque. Posso farti mandare un'auto di sorveglianza se hai paura. Rintracceranno le chiamate.”
“No!” Marie disse bruscamente. “No!”
Riley stette a guardare, con aria enigmatica.
“Perché no?” lei chiese.
“Non voglio farlo arrabbiare” Marie rispose, piagnucolando in modo patetico.
Riley, sopraffatta, percependo l'arrivo di un attacco di panico, improvvisamente si rese conto che era stata una terribile idea andare lì. Semmai, si sentiva peggio. Sapeva che non poteva restare seduta in quella sala da pranzo oppressiva un solo istante di più.
“Devo andare” Riley disse. “Mi dispiace tanto. Mia figlia mi sta aspettando.”
Marie improvvisamente afferrò il polso di Riley, con sorprendente forza, conficcandole le unghie nella pelle.
Lei restò a guardare, i gelidi occhi blu erano talmente intensi che terrorizzarono Riley. Quello sguardo inquietante le bruciò l'anima.
“Accetta il caso” Marie pressò.
Riley vide nei suoi occhi, che Marie stava confondendo il nuovo caso e Peterson, fondendoli in uno solo.
“Trova quel figlio di puttana” lei aggiunse. “E uccidilo per me.”
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