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4º Acque di sorgente

Lungo il sentiero che conduce al Colle d’Olen, e nel punto in cui si dispicca quello che sale verso il vallone d’Indren e verso il Rosa, a circa m. 2320, sgorga per parecchie abbondanti polle ai piedi di un macigno un’acqua purissima, fresca e saporita, rinomata nella valle, nota a tutti i viaggiatori che non mancano di sostarvi per dissetarsi. Questa fontana non ha, che io mi sappia, un nome: siccome Quintino Sella la conosceva e l’apprezzava, e vi fece sosta in una gita pranzando sul terreno, così credetti bene di battezzarla col suo nome.

Il volume d’acqua è cospicuo e forma un piccolo torrentello che dopo pochi salti si confonde con quello che scende dal Rothhorn sovrastante al Colle d’Olen. L’acqua deve provenire da strati profondi; non trovai mai alcun divario nella sua temperatura (3° C) osservata in giorni ed ore diverse.

Trattata come le altre acque, il residuo della concentrazione di due litri era costituito da un’acqua perfettamente chiara e limpida, con un leggerissimo deposito cristallino bianco.

Le varie acque descritte si sottoposero, come dissi, ad alcuni saggi, gli uni fatti subito, altri eseguiti più tardi sui residui dell’evaporazione incompleta di due litri d’acqua. Incomincio da questi ultimi.

Il saggio quantitativo si riferisce ai residui solidi delle acque a 110°. I componenti minerali di tali residui non si poterono determinare quantitativamente per la scarsità del materiale: nè si sarebbe potuto, nelle nostre condizioni, svaporare maggiori quantità d’acqua per ogni campione.

Il 28 luglio 1894, giornata serena e calma, sulla vetta della Gnifetti (o Signalkuppe) dove sorge la Capanna Margherita (4559 m.) e a distanza di un quaranta passi circa dalla capanna, in un tratto erto e lontano dalla traccia degli alpinisti, scavato colla piccozza un foro, ne traemmo la neve del fondo e la portammo a fondere nell’interno della capanna, riscaldando la cassula colla lampada a gaz di benzina.

Come è noto, a simili altezze non si trova ghiaccio compatto ed unito se non forse a grandi profondità; quello raccolto da noi era in granuli di varia grandezza, perfettamente separati gli uni dagli altri. Il residuo solido (a 110°) di un litro di questa acqua pesava milligrammi 16,9. Calcinandolo non anneriva, il che si osserva per tutte le acque esaminate, tranne una di cui dirò più sotto.

Novecento metri più in basso, sul ghiacciaio del Lys, nella parte sua superiore, dove spiccandosi dalla parete occidentale della Piramide Vincent precipita a valle in una grandiosa cataratta dalle alte e capricciose onde gelate, lo stesso giorno (28 luglio), calatici lungo la parete di un enorme crepaccio, raccogliemmo un grosso frammento di ghiaccio, poco compatto, abbastanza friabile, con frattura cristallina. Lo riponemmo nella cassetta di latta e lo facemmo fondere a Lavez. Il residuo fisso per litro a 110° fu di milligr. 13,9.

Il 10 agosto ritornammo a prendere un campione di ghiaccio nella stessa località (dietro la Capanna Gnifetti): non ricorremmo più al crepaccio della prima volta, ma ad un altro più a monte in direzione della traccia che sale verso il Colle del Lys. La struttura del ghiaccio era la stessa già descritta, corrispondente allo stadio di passaggio fra il nevato delle vette e il ghiacciaio delle parti declivi e basse. Il residuo di un litro non era che di milligrammi 8,8 per litro; fra quante acque abbiamo esaminato nel 1894 non ne trovammo nessuna più povera di materiali sciolti.

Nel corso dell’anno 1895 ho potuto ripetere alcuni dosaggi del residuo secco dell’acqua di ghiaccio; la spedizione era munita di una bilancia di precisione che permise di operare a Lavez stesso, evitando di portare residui a Torino. Uno dei campioni di ghiaccio era stato ottenuto scavando alla base della Piramide Vincent, entro un grande masso di ghiaccio (serac), franato dalla vetta lungo il pendìo occidentale. Si ebbe cura di raccogliere ghiaccio profondo e quindi antico, presentante bene apparenti le strie orizzontali caratteristiche; era compatto, trasparente, molto poroso, disseminato di bollicine d’aria di dimensioni varianti da un grano di miglio ad un pisello, non friabile, a frattura cristallina.

Ghiaccio di aspetto eguale raccogliemmo più in basso al limite fra il ghiacciaio del Garstelet e il lembo superiore della morena dove finisce all’estremità nord delle roccie dell’Hohes Licht. Il ghiacciaio del Garstelet non termina veramente in questo punto, ma ricompare più in basso, sbucando di sotto i detriti morenici, riunito con quello d’Indren. Come dirò più innanzi a proposito della crioconite, il ghiacciaio del Garstelet nel punto là dove noi prendemmo il campione è continuamente lavato da un velo di acqua, che vi scorre sopra, e il ghiaccio sottoposto è molto compatto e probabilmente assai antico. All’analisi chimica risultò che il ghiaccio preso alla base della Piramide Vincent, fuso e filtrato dai pochissimi detriti sospesi, svaporato e seccato a 110°, lasciava un residuo di milligrammi 2,4 e quello del Garstelet di milligrammi 1,6. Ciò proverebbe che in alcuni punti il ghiaccio è costituito di acqua quasi perfettamente pura.

Ecco qui radunate le cifre dei residui secchi ottenuti nel corso di mie ricerche:

11 Alla calcinazione si riduce a milligr. 16,0.


La differenza fra i residui di ghiacci provenienti da località vicine, quali sono quelle da cui si presero i saggi sia nel 1894 che nel 1895, dimostra con un argomento chimico che il ghiacciaio non è una massa omogenea, prodotto della miscela intima di tutte le correnti di nevato che vi scendono; ma è un miscuglio irregolare di filoni di varie nevi che per l’origine e la età diverse devono necessariamente avere composizione varia.

Se questo stato di cose si mantenga anche nelle porzioni più basse del ghiacciaio, e nel lembo terminale del così detto mare di ghiaccio, dopo che, per la continua rigelazione coadiuvata dalla pressione, il miscuglio dei varii filoni parrebbe dover essersi fatto più intimo, è ciò che rimane a stabilirsi con altre ricerche.

È noto che durante la congelazione di un’acqua contenente materiali disciolti o sospesi, la distribuzione di questi si fa irregolarmente, non solo fra la porzione congelata e quella rimasta sciolta, ma nelle stesse masse congelate. Questo fatto che venne confermato recentemente da A. C. Christomannos11 non può tuttavia spiegare la varia composizione del ghiaccio in regioni vicine.

Dopo le acque di neve, le più povere in materiali disciolti sono quelle del torrente Indren; il che si spiega riflettendo che queste sono il risultato della fondita di quelle, e che il terreno su cui scorre il torrente, costituito da roccie impermeabili, non può aver ceduto nuovi materiali all’acqua. Il giorno 9 agosto 1894 alle ore 15 (temp. 12°) raccolsi l’acqua di cui ho già dianzi dato il tenore in materiali solidi sospesi. Un litro dell’acqua conteneva sciolti milligr. 16,1. Il 10 agosto in cui, come pure dissi, si ebbe un enorme aumento nella fondita del ghiaccio, il residuo a 110° per un litro fu di milligr. 21,2; il quale residuo si annerì fortemente alla calcinazione e si ridusse a milligr. 16 come il primo. Questa cifra è dunque l’espressione della quantità media di materiale sciolto contenuto nei ghiacci che alimentano il torrente. Le sostanze organiche trovate in di più nel giorno di piena possono provenire dal ghiacciaio stesso o dalle rive del torrente dove scorre tra sponde erbose.

I laghi hanno un residuo alquanto più elevato: più di tutti quello Salzia, chiuso all’intorno da roccie e senza correnti che lo alimentino o che ricevano l’eccesso delle acque. Un litro lascia un deposito di milligr. 27,2. Il Lago Gabiet in due determinazioni ad epoche diverse mi diede milligr. 25,1 e 23,7 per litro.

L’acqua della sorgente Quintino Sella ha il residuo più abbondante: 30,8 milligr. per litro.

I residui tutti vennero analizzati qualitativamente. Vi si trovò acido cloridrico, acido solforico, calcio, sodio. Nelle acque di neve questi elementi erano in minimissima quantità, e le reazioni a parità di volume non indicavano una differenza che mostrasse il sopravvento di uno piuttosto che di un altro dei componenti. Lo stesso si dica per le acque dell’Indren.

Nelle acque dei laghi i cloruri sono scarsi, e quasi tutto il deposito è fatto di solfati, prevalentemente di calcio. Non mi venne fatto di rinvenire magnesia.

I solfati sono pure abbondanti nel residuo dell’acqua della sorgente Quintino Sella, mentre i cloruri sono in tenuissima quantità. Quest’acqua contiene anche dei carbonati in una piccola proporzione.

Delle acque di neve, due, cioè quella della vetta della Punta Gnifetti e quella raccolta il 10 agosto dietro alla Capanna Gnifetti, non contenevano traccia alcuna di ferro; ne trovai invece in tenue quantità (rivelabile col solfocianato potassico) nell’acqua raccolta il 28 luglio alla stessa altezza della precedente, ma non precisamente nello stesso punto. Questo è una prova di più della non omogeneità delle masse ghiacciate. Il ferro manca pure nell’acqua dell’Indren che ho analizzato. Non potei analizzare il residuo lasciato dall’acqua nel giorno di piena (10 agosto) perchè si ruppe il tubetto che ne conteneva la soluzione.

Tutte le altre acque, cioè dei due laghi Gabiet e Salzia e della fontana Quintino Sella, contengono piccole quantità di sali di ferro sciolti. Le soluzioni dei residui acidificate con acido cloridrico e trattate con solfocianato potassico dànno tutte una tinta rosea decisa. Credo superfluo il dire che i reattivi erano stati accuratamente purificati, e che in ogni caso si stabilivano delle controprove.

Mentre il ferro allo stato solubile si trova solo eccezionalmente nelle nevi e nel torrente, lo stesso metallo indisciolto è abbondante nei depositi di queste acque. L’acqua di fusione della neve della Punta Gnifetti conteneva per litro milligrammi 2,5 di materiali sospesi: esaminati al microscopio si mostravano composti di granellini di sabbia quarzosa, riganti il vetro, erano tinti in rosso ocraceo, e trattati con acido cloridrico davano chiara reazione di ferro col solfocianato. Ho pure accennato alle sabbie dell’Indren ricche di ferro. Non è dunque che questo metallo faccia difetto, ma mancano le condizioni per cui si trasformi in composti solubili. Su tale argomento ritornerò fra poco.

La ricerca dell’ammoniaca, dei nitriti e dei nitrati si fece sul luogo e colle acque fresche.

La presenza di ammoniaca si accertava direttamente nelle acque mediante il reattivo di Nessler. 100 cc. dell’acqua si trattavano in un cilindro a tappo smerigliato con ½ cc. di idrato sodico e 1 cc. di carbonato sodico. Trattandosi di acque che contenevano quantità piccolissime di sali dei metalli terrosi, non si osservò mai alcun precipitato dopo aggiunti questi due reattivi. Tuttavia si lasciava riposare mezz’ora, poi si travasava il liquido chiaro in un altro cilindro, e si aggiungeva 1 cc. di liquore di Nessler12.

Prima di ricercare l’ammoniaca nelle acque, mi accertai che non ne esistesse nell’atmosfera del nostro laboratorio in modo che potesse assorbirsi. Lasciai aperti diversi recipienti contenenti acqua distillata nella camera e vi ricercai l’ammoniaca. I risultati furono assolutamente negativi.

Le indagini sulle acque eseguite nel 1894 mi diedero per risultato: presenza quasi costante di ammoniaca nelle acque delle nevi, tanto della vetta del Rosa, quanto del ghiacciaio del Lys. L’acqua dell’Indren (proveniente dalla fusione di un ghiaccio che conteneva ammoniaca) nelle condizioni ordinarie non ne mostrava traccia; ma nella piena del 10 agosto, l’ammoniaca apparve pure in quest’acqua per scomparire il giorno dopo; in tutte le altre acque non trovai traccia alcuna di ammoniaca.

Quest’anno potei riprendere quest’argomento in condizioni migliori, avendo meco come dissi la bilancia di precisione, e il necessario per preparare acqua distillata; ebbi così mezzo di fare qualche dosaggio quantitativo secondo il metodo di Frankland e Armstrong13.

Le acque ottenute dalla fondita del ghiaccio o della neve contenevano sempre ammoniaca; in un solo caso non ne trovai traccia, e fu nel ghiaccio che scavai al Garstelet, e di cui dissi dianzi che non lasciava che un residuo di milligrammi 1,6.

Ecco le cifre ottenute:



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