Nel 1881 con J. Baumann, il Rey fece un tentativo arditissimo sull’Eiger, per la cresta di Mitteleggi. Chi non conosce quella montagna, non può farsi un’idea di questo «tour de force» eccezionale, per la quasi assoluta verticalità della parete. A proposito di questa azzardatissima impresa, l’alpinista isolano scrisse le seguenti testuali parole sul libretto di Emilio per compensarlo, in certo qual modo, dell’insuccesso, non dovuto già all’imperizia della guida, ma all’impraticabilità del sito. «Rey solo e senza essere legato, contornando un masso difficile e sporgente, proseguendo lungo la cresta, riuscì ad arrivare a un punto sino allora inesplorato.» Pochi giorni dopo però, l’Eiger veniva salito dalla stessa comitiva per la solita via. In quell’anno, con Andreas Maurer, Emilio guidò il Baumann ed il Maund, alla prima ascensione del Grosser Lauteraarhorn dal versante occidentale; e più tardi guidò il sig. Moritz von Déchy all’Aiguille Verte.—«L’ascension de l’Aiguille Verte était accomplie aprés une sévère chûte de neige, sous des circostances très difficiles et défavorables. J’avais eu l’occasion de voir Rey au travail et depuis j’ai souvent pensé de faire avec lui un voyage lointain, dans une des chaînes de montagnes hors de l’Europe».—Così si esprime il signor Déchy in una gentilissima epistola direttami a proposito di Rey. E più oltre, pensando sulla misera fine dei suoi due compagni di viaggio, esclama: «Hélas! tous les deux sont maintenant morts, tous les deux tombés sur leur champ de gloire!»—Che fatale sorte fu serbata a questi due valorosi militi dell’alpinismo! Ha qualche cosa di fatidico, questo destino delle guide, che non vale però a diminuire il loro entusiasmo per la montagna e l’intrepidezza con la quale affrontano i pericoli maggiori.
Nella primavera del 1895 parlando con Emilio Rey, gli domandavo perchè oramai non si concedesse riposo, dacchè si era acquistato, con la sua attività, un’avviata agiatezza. Con la solita franchezza, Egli mi rispose: «Ce n’est pas le gain qui me pousse sur les sommets, c’est la grande passion que j’ai pour la montagne. J’ai toujours considéré la récompense comme chose secondaire à ma vie de guide.» Poi soggiunse inspirato da chi sa quali presentimenti: «Je sens, je prévois qu’un jour ou l’autre, on me recueillera dans une crevasse: ce ne sera point le danger qui m’aura tué, mais un caprice de la montagne. Je l’ai trop aimée et vaincue pour qu’elle ne se venge pas sur moi!»—Chi allora prevedeva che questi pronostici su sè stesso, si avverassero in pochi mesi? Povero Emilio!
Rey aveva una facoltà tutta sua propria per cattivarsi, a prima vista, delle simpatie. Anche fra i profani in alpinismo contava degli ammiratori e degli amici. In montagna non solo riusciva utile e gradito compagno, ma sapeva prevenire e soddisfare tutti i minimi desideri del viaggiatore, rassicurarlo nei momenti incerti, suscitargli il coraggio e la forza per vincere e l’entusiasmo per la vittoria. È per questo infatti che tutti gli alpinisti da lui guidati lo veneravano come un maestro e lo amavano come un amico, è per questo che lo volevano sempre con loro e lo richiedevano di accompagnarli, come d’un favore, nelle loro più arrischiate escursioni. Non stupisca dunque se un alpinista come il sig. Déchy, riconoscesse nel Rey, in una sola ascensione fatta con lui, una guida valente ed un gradito compagno per un lunghissimo viaggio quale vagheggiava di fare nel Caucaso.
Emilio Rey compì poi con Carus D. Cunningham un lavoro considerevolissimo. A cominciare dal 1882 sino al 1884 fu ritenuto da quell’alpinista quattro mesi all’anno. Sono tutte salite di primo ordine, e meritano un’accenno.
Nel 1882 si principiò in giugno nella catena del M. Bianco salendo parecchie vette, fra le quali l’Aiguille de Talèfre (prima ascensione dal versante italiano per la cresta Est), la Calotte de Rochefort (prima ed unica ascensione). Nel distretto di Zermatt Emilio guidò il Cunningham al Cervino, al Rothhorn, al Grabelhorn, ecc.
La campagna susseguente fu non meno trionfale per il Rey. Oltre il Cunningham accompagnò i signori H. Walker, J. W. Hartley e W. E. Davidson, i quali scrissero due nobilissime pagine sul libretto di Emilio che per l’autorità di chi le dettò gli fanno molto onore.
Col primo di questi due ultimi valentissimi «grimpeurs», faceva nell’agosto la seconda ascensione delle Aiguilles du Dru. Quella del Petit Dru fu compiuta senza l’aiuto dei mezzi meccanici adoperati nella prima salita (C. T. Dent e J. W. Hartley con A. Burgerner e K. Maurer: 12 settembre 1878); venne definita da questi due sperimentati alpinisti come la più dura scalata che abbiano fatta. In quattro giorni consecutivi Emilio fece la terza, la quarta, la quinta ascensione del Grand Dru. Questo si chiama possedere una forza di resistenza e un «entraînement» non comuni.
Una di esse, con W. E. Davidson, fu la prima salita compiuta direttamente dal Montanvert, senza che pernottassero al ghiacciaio della Charpoua, come abitualmente si fa. Partiti dall’Hôtel alle 3,35 del 28 agosto, alle 11 arrivavano sulla vetta e già verso le 17,45 dello stesso giorno erano di ritorno all’albergo. Impiegarono dunque in tutto solamente 14 ore e 10 min., delle quali, diffalcando le fermate, risultano ore 10,55 di assoluta marcia. Si consideri poi anche che non fecero uso di scale, nè di corde fisse, e variarono la solita via. Il sig. Dent raccontando questo «tour de force» unico nel genere, scrisse: «Il sig. W. E. Davidson in una recente ascensione su questa montagna, potè trovare la strada senza l’aiuto di scale e di corde. In uno spazio di tempo prodigiosamente breve, salì e discese la vetta, sulla quale si fermò delle ore senza fine.»
Sempre nel 1883, Emilio guidò il Cunningham alla prima ascensione della punta più alta dell’Aiguille du Midi per il versante Nord-Ovest, alla seconda ascensione delle Périades (prima per il versante Est); pure alla seconda del Mont Blanc du Tacul, ma con una variante; infine nell’Oberland a buon numero di vette. Mi limito ad enumerare solamente le principali, perchè lo spazio tiranno e la minor importanza delle altre mi vietano di troppo dilungarmi in cose di poco interesse.
Il signor Cunningham nutriva una vera affezione per Emilio Rey. Nel gennaio del 1884 lo invitò a passar seco alcune settimane in Inghilterra dove lo fece viaggiare nelle principali città e lo presentò ai soci dell’Alpine Club. Ovunque fu festeggiatissimo, e ricevette numerosi segni di viva simpatia e grande ammirazione. Dai servitori del Cunningham, all’editore del Nineteenth Century, col quale passò un «aprés-midi» intellettuale, a Madame Tussaud, tutti avevano per lui una parola di lode. Ed Egli si trovava «à l’aise partout» e «on remarqua qu’il se conduisait avec un tact parfait, conservant toujours sa naïve aîsance.»
In quel frattempo Emilio fu col sig. Cunningham al Ben Nevis, la vetta più alta della Grande Brettagna, e sull’Arthur Seat. Era la prima volta che queste ascensioni venivano compiute da una guida delle Alpi. La stampa scozzese ne tessè, a proposito, una particolareggiata relazione, nella quale vediamo con piacere il nome del Rey far vanto alle guide italiane4.
EMILIO REY
Sempre nel 1884, Emilio in giugno trovasi già, in compagnia del Cunningham, a Grindelwald ad iniziare la campagna alpina che fu fecondissima d’importanti imprese. In quello splendido distretto si ascesero il Mittelhorn, il Mönch, lo Schrekhorn, il Mettenberg, la Jungfrau, ecc… Nella catena del Monte Bianco si compì la prima ascensione della Tour Ronde per la cresta Nord-Est, con discesa al Colle dello stesso nome. La stagione terminavasi con la seconda ascensione del Grosser Lauteraarhorn, per la cresta scendente verso lo Schreckhorn.
Dal 1884 in poi il sig. Cunningham, per motivi di salute, non potè più viaggiare sulle montagne, ma con ciò non venne meno in lui la riconoscenza ch’egli pubblicamente professava al nostro Emilio per gli ingenti servigi resigli.
«In tutte le relazioni ch’ebbe con me—scrisse il Cunningham nel suo aureo libro The Pioneers of the Alps—negli impegni d’ogni anno, nessuna azione venne mai a diminuire, in minimo grado, l’alta stima che ho per lui, o a danneggiare la grande amicizia che esiste tra di noi due».—E più oltre: «Ricordandomi delle circostanze sopraggiunte, quando i nostri giorni d’alpinismo parevano terminare, mi ricordo quanto l’idea del pericolo, che mi sembrava inevitabile, scomparisse alla vista delle braccia robuste, della testa calma e del coraggio inflessibile della mia guida».
Verso la fine di luglio del 1885 il Rey fu impegnato dal sig. H. Seymour King, onde accompagnarlo alla prima salita dell’arditissima Aiguille Blanche de Pétéret, alla quale era legato il triste ricordo della catastrofe del prof. E. M. Balfour con la guida Petrus. Partiti da Courmayeur il 30 di quel mese, dopo sforzi inauditi (specialmente nell’ultimo tratto del ghiacciaio di Fresnay), poterono arrivare verso sera a poco più di 3600 metri, sospesi sull’arditissima parete Ovest dell’Aiguille Blanche, dove pernottarono. Dio sa come passarono la notte a quella straordinaria altezza, quasi librati nel vuoto, legati alle roccie e con 20° sotto zero! La «verve» inesauribile di Emilio aveva sempre lo stesso grado di spiritosità, benchè i denti battessero sonoramente le ventiquattro, ed il vento, colle sue folate da intirizzire le pietre, continuamente li molestasse. Solo l’alpinista che ha dormito alla bella stella a 3000 metri sul livello del mare, può considerare quale sforzo morale deve l’uomo operare su sè stesso, affinchè il fisico non soggiaccia alla forza dell’ambiente.
Al mattino del 31 luglio attaccarono dapprima le roccie che sorpiombano sul ghiacciaio di Fresnay, quindi, lavorando di piccozza su corazze di ghiaccio ed infine per una cresta nevosa che diventa esilissima e vertiginosa, riuscirono sulla vetta. Questa salita, che durò tre giorni con due notti all’aperto, non venne poi mai ripetuta, sia perchè è pericolosissima per le roccie disgregate e per le cornici di ghiaccio, sia anche perchè il ghiacciaio di Fresnay, superiormente, alla base della parete Ovest dell’Aiguille Blanche, si spacca enormemente e forma una bergsrunde insormontabile.
In principio dell’estate 1886 il Rey fu con Miss Katharine Richardson, che accompagnò in seguito quasi tutti gli anni. Di questa intrepida alpinista, coraggiosa quanto mai, che mentiva formalmente il suo sesso (in quanto si riferisce alla resistenza, alla vigoria, alla tempra) soleva Emilio parlarne di sovente; e concludeva che nel mondo muliebre, di uno stampo simile se ne incontrano di rado.
Non notiamo nuove imprese compiute dal Rey in quella campagna, se non che guida il sig. H. Dunod all’Aiguille Verte e alla seconda ascensione dell’Aiguille des Charmoz, oltre alla già menzionata salita alla Meije, in Delfinato.
Nell’agosto del 1887 Emilio ascese moltissime vette della catena del M. Bianco che per brevità non le enumeriamo. Era con J. H. Wicks e W. Muir. All’Aiguille des Charmoz scoprì una variante e riuscì pel primo sul Mont Mummery, una delle tante punte di cui è formata l’Aiguille. Di questa vetta, allora moltissimo in voga, eseguì col sig. Dunod la prima traversata delle sue cinque punte, che divenne poi di prammatica per un abile turista che dimorasse «tant soit peu» al Montanvert. Sempre col Dunod, e nell’anno medesimo, dal Grand Dru scese pel primo al Petit Dru. Questo passaggio, se non esige delle qualità tecniche eccezionali, è sempre difficile ed emozionante, specialmente nel tratto pel quale si deve discendere, quasi perpendicolarmente, lungo una corda di 30 metri. In senso inverso, questa traversata venne effettuata da Miss K. Richardson con E. Rey e G. B. Bich. Il Dunod scrisse a proposito di questo passaggio sul libretto del Rey: «…c’est certainement en grande partie au courage et à l’adresse d’Émile Rey que je dois la réussite de ce passage».
In settembre di quell’anno, 1887, troviamo Emilio ad accompagnare il dott. Paul Güssfeldt al Gabelhorn ed al Cervino, per la nuova via scoperta poco tempo prima, da Zermatt a Breuil. Lasciate quindi le Alpi Pennine, si ridussero nel Gruppo del Bernina a compiere una nuova ascensione del Monte Scerscen pel versante italiano. Nel rendere conto di questa salita non posso fare a meno che lasciar la penna al valente alpinista tedesco che ne scrisse una succinta relazione sul libretto della sua guida.
«En partant de la cabane Mannelli (Italie) nous atteignîmes le Roseg-Fuorcla (Güssfeldt-Sattel) d’ou nous exécutâmes une nouvelle ascension du M. Scerscen, en suivant plus ou moins la grande arête jusqu’à la «Schreckhaube» et de là, sans plus nous éloigner de l’arête, jusqu’au sommet du Scerscen. La descente devait s’effectuer par le versant suisse. Pendant 4 heures consécutives E. Rey a dû couper des grandes marches pour frayer un chemin dans ce mur de glace, qui sépare les parties supérieures de la montagne de l’arête inférieure; celle-ci était toute couverte de neige et nous devions la descendre pendant les premières trois heures de la nuit. La descente entière a duré depuis 1 heure p.m. (22 sept.) jusqu’à 4 heures a.m. (23 sept.), et seulement 24 heures après avoir quitté la cabane italienne, nous arrivions au Restaurant Roseg. C’est a l’exceptionelle adresse de Rey et à son courage à toute épreuve que nous devons la réussite complète de notre tentative un peu hasardée. Il est de mon devoir de professer tout haut l’admiration que j’ai pour les qualités extraordinaires d’Émile Rey».
Tale è il primo attestato rilasciato dal Güssfeldt al Rey, che divenne, d’allora in poi, la sua guida prediletta, accompagnandolo, come vedremo, ad azzardatissime esplorazioni. Fu il Güssfeldt che fece conoscere il nome di Emilio a S. M. l’Imperatore di Germania, il quale da lui sarebbe stato guidato sulle montagne scandinave se la politica, quella gran brutta megera, non fosse venuta a sventare il progetto.
Al primo accostarsi ad una guida conosciuta e di fama, restiamo titubanti, affascinati da un’ingenua soggezione che ci fa sembrare quasi ragazzi. Questa sensazione di rimpicciolimento, che svapora il nostro giustificato orgoglio di parer superiori a quegli uomini rozzi, ma pur grandi, non la provarono soltanto gli alpinisti «à l’eau de rose», ma i più valenti e provetti. Spigolando l’epistolario di Emilio Rey, trovo alcuni brani di lettere che meriterebbero di essere trascritti testualmente, perchè farebbero vieppiù risaltare la considerazione che di Emilio si aveva nel mondo alpino.
Così il dott. Güssfeldt nel sollecitargli il favore di accompagnarlo, ebbe cura di aggiungere: «J’ai assez d’expérience dans les hautes montagnes, pour pouvoir apprécier vos qualités extraordinaires, et vous pouvez être sûr que je vous causerai peu d’embarras, même dans des situation difficiles».
Tutti poi badavano di notificargli il loro stato di servizio e a che punto giungeva la loro forza di resistenza, perchè sapevano che il Rey ripugnava di accompagnarsi, in salite difficili, con neofiti in alpinismo. Ma torniamo in carreggiata.
Verso la fine di dicembre del 1887 i signori Corradino, Gaudenzio, Erminio e Vittorio Sella, accompagnati dai tre Maquignaz, padre e figli, e da Serafino Henry di Courmayeur, tentavano il M. Bianco, partendo dalla Capanna Q. Sella al Rocher du Mont Blanc. Furono ricacciati in basso dallo scatenarsi improvviso di una tormenta. Non iscoraggiti da questo tiro birbone del tempo, al mattino del 4 gennaio 1888 ritentavano la prova, nella speranza che il Monte li volesse benignamente ricevere per augurargli il buon capo d’anno. Invece di Henry, questa volta colla comitiva Sella, partiva Emilio Rey.
È superfluo ripetere qui tutte le peripezie della faticosissima marcia del 5 gennaio, nella quale, partiti dal rifugio Q. Sella, raggiungevano la vetta e discendevamo a pernottare ai Grands-Mulets. Il sovrano dei monti li accolse con un sorriso mefistofelico, ed appena partiti prese il broncio e li avvolse di una fitta nebbia. Però aveva fatto i conti senza la valentia delle guide, chè queste non se la presero, e trassero la comitiva a salvamento malgrado l’oscurità della notte e la molestia del freddo e della pesante nuvolaglia.—«Sotto l’ultima delle Bosses du Dromadaire il Rey, con Daniele Maquignaz e Vittorio Sella, intraprese rapidamente la discesa ai Grands-Mulets, onde tracciare la via verso essi, al resto della comitiva. La notte buia e la nebbia sorpresero tosto il Rey ed i suoi due compagni. Egli tuttavia seppe dirigere la discesa con coraggio ed abilità sorprendenti, superando senza gravi ritardi le numerose difficoltà che presentarono i larghi crepacci del ghiacciaio e raggiungendo i Grands-Mulets verso le 10 della sera5».
Questa ascensione invernale al M. Bianco fu giudicata dal Cunningham come uno dei più rimarchevoli «tour de force» compiti in inverno nell’alta montagna.
Così fu brillantemente inaugurato l’anno 1888, che l’avrebbe coronato dei più fulgidi allori, se circostanze imprevedibili non fossero sopraggiunte ad annientare gli accarezzati ideali. Forse doveva riuscirgli fatale. Che a qualche cosa «malheur est bon?»
О проекте
О подписке