La strada principale era piena di persone – alcune sventolavano bandiere, altre tenevano in mano dei palloncini. Come per la maggior parte delle feste nazionali, Sunset Harbor stava facendo del suo meglio per celebrare il Labor Day. La città era decorata meravigliosamente, con bandierine e luci appese tra i lampioni e gli alberi, stelle filanti legate agli steccati, e un piccolo carnevale.
Mentre percorrevano le strade piene, Emily strinse forte la mano di Chantelle, percependo che la ragazzina era sconvolta. Ma ogni volta che abbassava lo sguardo c’era un grande sorriso sul volto della bambina. A Emily riempiva il cuore di gioia il sapere che era felice. Ma glielo riempiva anche di molto altro; una sensazione di pace, di appagamento. Aveva voluto un figlio suo, per un po’, ma non aveva capito quanto piacere avrebbe ricevuto dal trascorrere del tempo con Chantelle.
Emily non poté fare a meno di notare che Daniel, da parte sua, sembrava teso. Nella folla pareva sulle spine, come un falco che percepisse il pericolo a ogni angolo di strada. Sicuramente si era abituato naturalmente al ruolo di tutore, ma sembrava che gli mancasse qualcosa sul fronte del legame. Emily sperava che fossero solo problemi iniziali, che si sarebbe calmato a mano a mano che il tempo passava per imparare a godersi la genitorialità quanto lei. Doveva imparare a essere un papà, non solo un padre.
Tra la folla Emily scorse la sua amica di Sunset Harbor Cynthia Jones, della libreria. Come sempre, Cynthia si era tutta agghindata per l’occasione, con una gonna blu brillante, una camicia rosso brillante, e un cappello da cowboy bianco brillante. Tutto l’insieme si scontrava orribilmente con i capelli tinti di arancione.
Vedere Cynthia mise in ansia Emily per la prima volta da un po’ di tempo. Appena poche settimane prima aveva chiesto alla donna, più grande d’età di lei, un consiglio dopo che lei e Daniel erano venuti a sapere dell’esistenza di Chantelle. Adesso eccola che passeggiava mano nella mano con Daniel e la sua bambina a sorpresa, con atteggiamento da famiglia normale. Emily non poteva fare a meno di temere il suo giudizio.
Ma quando Cynthia li vide tutti, sorrise apertamente e salutò con la mano. Emily le lesse l’approvazione negli occhi.
“Chantelle, ti voglio presentare una mia amica,” disse Emily.
Lei e Daniel portarono Chantelle da Cynthia. La donna abbracciò Emily immediatamente.
“Lo sapevo che alla fine si sarebbe sistemato tutto,” le sussurrò all’orecchio abbracciandola forte.
La strinse anche Emily. Cynthia le era stata così di sostegno e le aveva dato tanta amicizia da quando era arrivata a Sunset Harbor, otto mesi prima, e sentì un’ondata di gratitudine in quel momento.
“Lei è Chantelle,” disse Emily alla fine, dopo che si furono sciolte dall’abbraccio.
Cynthia si abbassò sulle ginocchia per trovarsi faccia a faccia con la bambina. “Sono davvero felice di conoscerti, Chantelle. Credo che Sunset Harbor ti piacerà davvero tanto.”
Chantelle si fece timida e si avvinghiò alla gamba di Emily. Emily non poté evitare di accarezzare i morbidi capelli biondi della bambina, provando un istinto materno soverchiante. Ancora una volta rimase colpita nel constatare quanto rapido e istantaneo fosse l’amore che provava per Chantelle. E notava che il sentimento sembrava essere ricambiato. Chantelle era passata dall’avvinghiarsi a Daniel, la notte precedente, all’avvinghiarsi a Emily quel pomeriggio.
Proprio allora si avvicinò un uomo giovane e magro con degli arruffati capelli castano chiaro.
“Owen,” gli disse Cynthia, “ti ricordi di Emily, vero? Del Bed and Breakfast?”
“Certo,” disse Emily porgendogli una mano. “Sei venuto ad accordarmi il pianoforte.”
Owen annuì. Sembrava un uomo timido. “Come va lì adesso? Se ricordo bene, avevi una certa urgenza di sistemare tutto.”
“È vero,” rispose Emily. “Sistemare venti stanze in ventiquattr’ore non è un’esperienza che voglio ripetere! Ma grazie per l’aiuto con il piano. Adesso suona meravigliosamente.”
Owen sorrise. “Sono contento di sentirlo. È stato un vero piacere lavorare su uno strumento antico come quello. Mi piacerebbe avere l’opportunità di suonarlo ancora, un giorno.”
“Vieni pure quando vuoi,” disse Emily. “Avere un pianista nel Bed and Breakfast è uno dei miei obiettivi futuri. Solo che al momento non ho i soldi per pagare il servizio.”
“Be’,” disse Owen col suo sorriso gentile e timido, “e se venissi a suonare gratis? Per me sarebbe una buona pubblicità, mi faresti un favore.”
Emily era entusiasta. “Sarebbe fantastico!”
Si scambiarono i numeri di telefono e salutò Owen. Emily era deliziata dall’idea di avere un pianista per la locanda.
“Vieni, Chantelle,” disse Emily, col morale in risalita dopo l’incontro con Owen. “Andiamo al carnevale.”
Prendendo le redini della famiglia, Emily li accompagnò ai tendoni dove c’erano giochi tradizionali, il tiro al bersaglio con le noci di cocco e un poligono di tiro.
“Perché non vedi se riesci a vincere un giocattolo per Chantelle?” suggerì Emily a Daniel.
Lui la guardò con un’espressione persa e debole, quasi come se fosse in imbarazzo per non averci pensato lui.
“Certo,” disse, sorridendo in modo un po’ forzato. “Guarda qua.”
Emily carezzava le spalle di Chantelle mentre Daniel pagava l’uomo al banchetto e prendeva la mira con l’arma caricata a pallini. Poi, con tre colpi perfetti centrò l’obiettivo. Chantelle si mise a saltare su e giù e a battere le mani.
“Va’,” la incoraggiò Emily. “Va’ a scegliere un premio.”
Chantelle corse alla bancarella e scelse il morbido orso di peluche più grande che c’era.
“Perché non ringrazi papà?” la sollecitò Emily.
Chantelle abbracciò forte l’orso e guardandosi timidamente i piedi borbottò il suo ringraziamento. L’espressione tesa di Daniel tornò. Emily lo raggiunse e gli strinse il braccio per rassicurarlo, come per dirgli che se la stava cavando bene. Prese nota mentalmente di sostenere Daniel il più spesso possibile, di ricompensarlo e confortarlo; chiaramente stava facendo fatica.
Proprio allora incontrarono Serena.
“Oddio!” urlò Serena facendo passare lo sguardo da Chantelle a Daniel a Emily. “È… fantastico… DAVVERO.”
Emily non aveva avuto l’occasione di dire a nessuno del ritorno di Daniel, e neanche del fatto che avesse portato con lui Chantelle. Serena era stata una delle persone che le erano state vicine, che l’avevano supportata in quelle dure settimane in cui Daniel non c’era. Sapeva che per la sua giovane amica voleva dire molto vederli tutti insieme, felici e uniti.
Serena si curvò per parlare con Chantelle. Aveva una tale abilità naturale nel connettersi con le persone che Emily vide Chantelle lasciarsi prendere subito da lei.
“Sai, vendono lo zucchero filato color arcobaleno qui,” stava dicendo Serena. “E luccica! Vuoi venire a prenderne un po’ con me?”
Chantelle alzò lo sguardo su Daniel ed Emily. Entrambi la incoraggiarono con un cenno della testa. Guardando Serena e Chantelle che si allontanavano mano nella mano in direzione della bancarella dello zucchero filato, Emily sentì un improvviso senso di perdita, quasi di lutto. La bambina aveva solo attraversato la strada e già Emily ne sentiva la mancanza. Dev’essere così che si sentono le altre madri, pensò tra sé e sé con un sorriso.
Proprio allora Daniel la avvicinò a sé, come a caccia di conforto e rassicurazione.
“Stai andando bene,” gli disse appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non mi sembra,” rispose lui. “Mi sembra di essere in costante attesa di un disastro.”
“Ha perfettamente senso,” lo rassicurò Emily. “Adesso sei un papà. Hai istinti da papà.”
Daniel rise. “Istinti da papà, eh?” scherzò, a suo agio per la prima volta da quando avevano lasciato la locanda. “Come il senso di ragno?”
Emily annuì con vigore. “Però mille volte meglio.”
Mentre si zittivano per guardare Chantelle e Serena allo stand dello zucchero filato, Emily si sentì soddisfatta e immensamente felice. Più felice, anche, di quanto aveva mai creduto possibile.
Poi Serena e Chantelle tornarono indietro saltellando – Chantelle con il viso appiccicoso per via dello zucchero.
“Prendine un po’, Emily!” urlò porgendole lo zucchero filato color arcobaleno.
Emily ne prese un morso, sopraffatta dalla gioia perché la bambina aveva voluto condividerlo con lei. “Gnam!” disse raggiante, anche se si stava sforzando di trattenere delle lacrime di felicità.
“Papà ne vuole un po’?” suggerì Emily. L’ultima cosa che voleva era che Daniel rimanesse tagliato fuori, anche se un boccone di luccicante zucchero filato color arcobaleno probabilmente era l’ultima cosa che lui avrebbe voluto mangiare.
Chantelle timidamente porse il bastoncino con il dolce a Daniel. Daniel aprì la bocca, esageratamente, poi masticò esasperando il rumore mentre prendeva un finto boccone di zucchero, facendo grandi rumori mentre masticava. Chantelle ridacchiò. Era la prima volta che Daniel si scioglieva, che giocava così con lei. Emily colse lo sguardo di Daniel e alzò le sopracciglia. Lui le ritornò un trionfante sorriso di soddisfazione.
Quando cominciò la parata, la famiglia si posizionò sul marciapiede e guardò passare i trattori. Tutti quelli di Sunset Harbor erano fuori ed Emily salutò molti suoi amici. Non si sentiva più in imbarazzo ad apparire in pubblico con Daniel e Chantelle. Era ciò che voleva e se la gente disapprovava, a lei non importava.
Ma non appena Emily ebbe cominciato a sentirsi più sicura di sé, ecco che sentì qualcuno toccarle una spalla. Si voltò e si sentì travolgere da una doccia fredda. Trevor Mann era lì, con l’aria compiaciuta da rospo.
Si lisciò i baffi. “Sono sorpreso di vederla qui, Emily,” disse.
Emily incrociò le braccia e sospirò, sapendo istintivamente che Trevor avrebbe cercato di buttarle giù il morale. “E perché, Trevor?” disse, secca. “La prego di dirmelo. Muoio dalla voglia di saperlo.”
Trevor sorrise nel suo modo storto e orribile. “Volevo solo ricordarle che la proroga inerente al pagamento delle sue tasse arretrate sta per scadere. Ha tempo fino al Ringraziamento per saldare tutto.”
“Lo so bene,” rispose controllata Emily, ma ricordarlo non le faceva certo piacere. Emily non aveva ancora la più pallida idea di come avrebbe fatto a trovare i soldi.
Guardò Trevor girare sui tacchi e sparire, lasciandola con una sensazione di freddo e terrore.
*
A Chantelle Serena sembrava essere piaciuta subito, quindi Emily invitò l’amica a cena a casa sua. Emily decise di preparare un gran pasto a base di fajita. Voleva che la piccola si sentisse amata e protetta, che fosse stimolata da molte attività e che fosse allevata con nutrimento. Perciò, mentre Serena e Chantelle suonavano il piano insieme nel soggiorno, in cucina Emily e Daniel cucinavano ogni tipo di piatto.
“Non so neanche se assaggerà metà di questa roba,” disse Daniel mescolando un po’ di salsa fatta in casa. “Pomodori. Avocado. Probabilmente è tutto nuovo per lei.”
“A casa non mangiava bene?” chiese Emily. Ma la risposta la conosceva. Certo che no. Sua madre non riusciva nemmeno a tenere un tetto sopra alla testa di sua figlia né a comprarle abbastanza paia di pantaloni per una settimana; le probabilità che nutrisse Chantelle erano quasi nulle.
“Era una casa del tipo patatine fritte e biscotti in scatola,” rispose Daniel serrando la mascella. “Nessuna routine. Si mangiava quando si aveva fame.”
Emily capiva quanto dolore provasse dal modo in cui teneva le spalle curve, dal modo irrequieto in cui faceva degli avocado un guacamole come se non ci fosse un domani.
Emily lo raggiunse e gli fece passare delicatamente le mani sulle braccia, finché la tensione sembrò sciogliergli i muscoli.
“Adesso ha noi,” lo confortò. “Sarà pulita. Sarà nutrita. Sarà al sicuro. Okay?”
Daniel annuì. “Però mi sembra che abbiamo così tanto tempo passato da sistemare. Voglio dire, possiamo davvero cancellare ciò che ha passato quando io non ero lì per lei?”
A Emily si spezzò il cuore. Daniel si sentiva davvero responsabile per gli anni che non poteva controllare? Per tutti quei mesi, per tutte quelle settimane e quei giorni in cui non era stato capace di amare Chantelle e prendersene cura?
“Sì che possiamo,” gli disse decisa Emily. “Tu puoi.”
Daniel sospirò ed Emily capì che non le stava credendo del tutto, che le sue parole gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall’altro. Ci sarebbe voluto del tempo prima che accettasse di essere stato assente durante l’inizio della vita di Chantelle. Emily sperava solo che il suo avvilimento non spingesse la bambina ad allontanarsi da lui.
La cena era pronta, quindi andarono tutti nella sala da pranzo per mangiare. All’enorme tavolo antico di quercia, Chantelle sembrava piccola. I gomiti le arrivavano appena al piano. La stanza non era proprio stata pensata per i bambini.
“Vado a prenderle un cuscino,” disse Serena ridendo.
Proprio allora, Emily notò che Chantelle stava piangendo.
“Va tutto bene, tesoro,” le disse con delicatezza. “Lo so che sei bassina, ma Serena ti prende un cuscino e poi potrai stare seduta alta come una principessa.”
Chantelle scosse la testa. Non era quello che la faceva star male, ma non sembrava capace di dire a parole di che cosa si trattasse.
“È la cena?” si preoccupò Daniel. “Troppo saporita? È troppa? Non devi mangiare tutto. Puoi non mangiare niente. Possiamo prendere qualcosa d’asporto.” Si voltò verso Emily, e le parole gli uscirono piene di ansia. “Perché non andiamo a prendere qualcosa?”
Emily alzò le sopracciglia come per dirgli di calmarsi, di non aggiungere dell’emotività non necessaria alla situazione. Poi scostò la sedia, si alzò in piedi, andò da Chantelle e si inginocchiò accanto a lei.
“Chantelle, con noi puoi parlare,” le disse il più delicatamente possibile. “Con me e con papà. Siamo qui per te, e non ci arrabbieremo.”
Chantelle si sporse verso Emily e bisbigliò. La voce era così bassa da essere quasi inudibile. Ma Emily riuscì a capire le parole che pronunciava, e mentre cominciava a capire, venne colpita al cuore dall’emozione.
“Ha detto che sono lacrime di gioia,” spiegò a Daniel.
Guardò il respiro di sollievo sollevargli il petto, e il luccichio delle lacrime nei suoi occhi.
*
Più tardi, quella sera, era ora che Emily e Daniel mettessero a letto Chantelle.
“Voglio che lo faccia Emily,” richiese Chantelle prendendole la mano.
Emily e Daniel si scambiarono uno sguardo. Dal modo in cui si strinse nelle spalle, Emily capì che Daniel era deluso di essere escluso.
“Allora da’ la buonanotte a papà,” suggerì Emily.
Chantelle corse da lui e gli piantò un veloce bacio sulla guancia prima di tornare da Emily, con cui chiaramente si sentiva più a suo agio.
Di tutte le prove materne che Emily aveva dovuto affrontare nelle ultime ventiquattr’ore, questa fu per lei la più snervante. Ficcò la bambina nel grande letto a baldacchino della stanza vicina a quella padronale, posandole accanto l’orsacchiotto della parata e Andy Pandy dall’altra parte.
“Vuoi che ti racconti una favola?” chiese Emily a Chantelle. Suo padre le leggeva sempre qualcosa a letto; lei voleva ricreare quella magia per Chantelle.
La bimba annuì, e gli occhi già cominciavano a chiudersi dal sonno.
Emily corse alla libreria e trovò la sua vecchia copia di Alice nel paese delle meraviglie. Era stato uno dei suoi libri preferiti da bambina, e quando aveva trovato la vecchia e impolverata copia nella casa quando era arrivata nella casa era stata colta da un’emozione soverchiante. La rendeva felice sapere di poter dare al libro un nuovo scopo nella vita, sapere che avrebbe portato la gioia che conteneva nelle sue pagine a qualcuno di nuovo.
Portò il libro di sopra e si sedette su una sedia accanto al letto, come faceva suo padre. Quando prese a leggere, Emily sentì i ricordi vorticarle dentro. La sua stessa voce si trasformò in quella di suo padre e si sentì trasportare indietro nel tempo.
Era rimboccata a letto, con le coperte sotto alle ascelle. La stanza era illuminata dalla candela. Riusciva a vedere i corrimano del mezzanino davanti a lei e capì che si trovava nell’immensa stanza che dava sul retro della casa, quella che lei e Charlotte condividevano. Anche se si sforzava di rimanere sveglia, di continuare ad ascoltare la meravigliosa storia che sua padre le leggeva, le palpebre le si facevano pesanti e ciondolavano verso il basso. Un attimo dopo divenne conscia dell’oscurità che la avvolgeva e del rumore dei passi di suo padre che scendeva la scala a pioli del mezzanino e andava alla porta. Ci fu un lampo di luce che veniva dal pianerottolo quando la aprì, poi una voce che diceva, “Dormono?” Emily si chiese di chi fosse quella voce. Non la riconosceva. Non era quella di sua madre, perché lei si trovava a New York. Ma prima che avesse la possibilità di pensarci bene, si addormentò.
Emily tornò di colpo al presente. La stanza era immersa nell’oscurità adesso, la luna piena forniva una luce tenue. Aveva una coperta sulle ginocchia. Doveva essersi addormentata mentre leggeva, e Daniel doveva averla coperta.
Sul letto davanti a lei, Chantelle russava piano. Emily si alzò – il corpo le doleva per essere rimasta sulla sedia così a lungo. Aveva davvero bisogno di dormire in un letto vero prima o poi!
Dirigendosi alla porta, ripensò al ricordo, alla misteriosa voce che aveva parlato con suo padre. Sbrogliare il mistero della scomparsa di suo padre era una cosa alla quale Emily lavorava sin dal suo arrivo in quella casa. Ma adesso, con Chantelle lì, aveva la mente occupata da altre cose. Voleva guardare avanti e pianificare il futuro, non indietro a un passato che aveva già cessato di esistere.
Mentre chiudeva la porta di Chantelle alle sue spalle e percorreva il corridoio, Emily si chiese cosa le avrebbe portato la sua nuova vita, come sarebbe stata adesso che aveva una famiglia. Era sorpresa da quanto le era piaciuta quella giornata, da quanto soddisfatta l’avesse fatta sentire, e da quanto si fosse sentita compiuta. Ogni singolo piccolo momento in cui Chantelle era venuta da lei in cerca di conforto le era sembrato una vittoria. La sua sola preoccupazione era Daniel. Non si era abituato con uguale naturalezza alla cosa. Lui avrebbe avuto bisogno di più tempo.
Proprio mentre pensava così, raggiunse l’ampia finestra sulla cima delle scale. Fuori era molto buio – la luna di un biancore crudo e le stelle brillavano. C’era poca luce per vederci bene, ma ce n’era abbastanza perché Emily riconoscesse Daniel accanto alla moto. Emily lo osservò, con la gioia che diventava angoscia, indossare il casco, salire sulla moto, e partire – sparendo dalla sua vista.
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