Erano le 13:35 quando raggiunsero la discarica. La temperatura di trenta gradi rafforzava il tanfo del luogo e le mosche erano così rumorose che sembravano creare una strana melodia. Mackenzie aveva guidato, mentre Bryers l’aveva aggiornata sui dettagli del caso dal sedile del passeggero.
Quando uscirono dall’auto e si avviarono verso la discarica, Mackenzie credeva di aver inquadrato Bryers. Era il tipo d’uomo che si atteneva scrupolosamente alle regole. Lui non l’avrebbe ammesso, ma era estremamente nervoso ad averla al suo fianco, anche se tutti quelli che erano informati della situazione avevano approvato la cosa ad occhi chiusi. Era chiaro dalla sua postura e dagli sguardi sfuggenti che le rivolgeva.
Mackenzie camminava lentamente mentre Bryers si avvicinava ai cassonetti verdi con passo deciso, come se fosse un addetto ai lavori lì. Dovette ricordarsi che lui era già stato sulla scena del crimine. Sapeva cosa aspettarsi e questo la faceva sentire una novellina – il che era vero, in realtà.
Si prese un momento per studiare il luogo, dato che non aveva mai avuto occasione di studiare le discariche. La zona in cui erano lei e Bryers in quel momento era una parte della discarica in cui potevano circolare i veicoli. Sei enormi cassonetti metallici stavano allineati in uno spazio cavo nel terreno. Oltre, si vedeva la zona sottostante, dove i furgoni venivano a raccogliere il carico. Lo spazio cavo nel terreno che nascondeva i cassonetti era mimetizzato, grazie al fatto che pareva una collina ben curata, con tanto di stradina cementata. Mackenzie e Bryers in quel momento erano in cima, mentre la stradina aggirava la collina e si immetteva in un’altra strada che portava sull’autostrada.
Mackenzie studiò il terreno. Nel punto in cui era c’era solo terra compatta, che poi lasciava il posto a ghiaia quindi a catrame dall’altra parte dei cassonetti. Nella parte di terra polverosa vide delle tracce di pneumatici, che però erano talmente numerose ed intricate tra loro che sarebbe stato molto difficile individuarne una sola. Di recente il tempo era stato caldo e asciutto; l’ultima volta che era piovuto era stato circa una settimana prima, ma si era trattato soltanto di pioggerellina fine. Il terreno secco avrebbe reso tutto molto più complicato.
Concludendo che ottenere impronte definite era pressoché impossibile, Mackenzie raggiunse Bryers al cassonetto.
“Il corpo è stato rinvenuto in questo qui” disse Bryers. “La Scientifica ha già prelevato campioni di sangue e impronte. La vittima si chiamava Susan Kellerman, aveva ventidue anni ed abitava a Georgetown.”
Mackenzie annuì senza dire niente. Guardando nel cassonetto rivide le sue priorità. Adesso lavorava con l’FBI, quindi poteva benissimo saltare qualche passaggio per procedere oltre. Non avrebbe sprecato tempo con le cose ovvie. Quelli che erano stati lì prima di lei, probabilmente anche Bryers, avevano già fatto il lavoro sporco. Quindi Mackenzie cercò di concentrarsi sul lato oscuro... su cose che potevano essere state trascurate.
Perlustrò la zona circostante per circa un minuto, poi concluse di sapere tutto quello che c’era da sapere, ovvero non molto.
“Allora, dimmi” disse Bryers. “Se dovessi azzardare un’ipotesi, perché il killer si è disfatto dei corpi qui?”
“Non credo l’abbia fatto per comodità” disse Mackenzie. “Credo che stia cercando di non correre rischi. Lascia i corpi qui perché vuole farli sparire. Inoltre secondo me vive qui vicino... a non più di trenta o cinquanta chilometri. Non credo che andrebbe in macchina più lontano di così solo per disfarsi di un cadavere... soprattutto di notte.”
“Perché di notte?” domandò Bryers.
Mackenzie sapeva che la stava mettendo alla prova, ma non le dispiaceva. Vista l’incredibile opportunità che le era stata data, se lo aspettava.
“Perché sarebbe obbligato a venire di notte per gettare un cadavere. Farlo alla luce del giorno quando ci sono anche gli addetti ai lavori sarebbe stupido.”
“Quindi credi che sia intelligente?”
“Non necessariamente. È attento e prudente, il che non equivale a intelligente.”
“Ti ho vista cercare orme” disse lui. “Anche noi ci abbiamo provato, ma non abbiamo trovato niente di utile. Ce ne sono troppe.”
“Già, sarebbe difficile isolarle” convenne lei. “Naturalmente, come dicevo, secondo me il corpo dev’essere stato scaricato qui dopo ore. Anche tu stai procedendo seguendo questa ipotesi?”
“Proprio così.”
“Allora non ci saranno impronte qui” concluse Mackenzie.
Lui le sorrise. “Giusto” disse. “Non impronte di pneumatici. Ma di scarpe sì. Però non conta, dato che anche di quelle ce ne sono troppe.”
Mackenzie annuì, sentendosi una stupida per essersi lasciata sfuggire un dettaglio così ovvio. Poi però la sua mente seguì subito un’altra direzione.
“Be’, non è che si sia portato il cadavere in spalla” disse. “Da qualche parte devono esserci le impronte del suo veicolo. Non qui, ma forse appena fuori dal cancello. Potremmo controllare per vedere quali tracce si fermano fuori dal cancello e quali proseguono oltre. Potremmo anche perlustrare il terreno vicino alla recinzione per cercare il punto in cui ha fatto cadere il corpo.”
“Questo è un valido ragionamento” commentò Bryers, chiaramente divertito. “È un dettaglio a cui sono arrivati anche i colleghi al laboratorio e che invece a me era sfuggito. Comunque hai ragione. L’auto del colpevole dev’essersi fermata fuori dal cancello. Quindi, seguendo il tuo ragionamento, se troviamo tracce che arrivano al cancello, poi si fermano e tornano indietro, sono quelle dell’assassino.”
“Potrebbero essere” disse Mackenzie.
“Il tuo ragionamento fila, ma non ci porta a nulla di nuovo. Che altro?”
Non era maleducato o sprezzante, lo si capiva dal tono di voce. La stava semplicemente spronando, spingendola a continuare a pensare.
“Sappiamo quanti veicoli transitano qui in un giorno?”
“All’incirca millecento” disse Bryers. “Se però riusciamo a trovare impronte che arrivano vicino al cancello e poi si fermano...”
“Sarebbe un punto di partenza.”
“È quello che speriamo di trovare” disse Bryers. “C’è già una squadra all’opera su questo da ieri pomeriggio, ma non abbiamo ancora nessuna pista.”
“Se vuoi posso dare un’occhiata anch’io” disse Mackenzie.
“Fa’ pure” disse Bryers. “Ma adesso lavori con l’FBI. Non devi impazzire se c’è un dipartimento che può gestire la cosa meglio di te.”
Mackenzie tornò a guardare la discarica, cercando di distinguere i rifiuti compattati. Una giovane donna era stata lì dentro fino a poco prima, nuda e contusa. Era stata lasciata nello stesso luogo dove le persone gettano i rifiuti, le cose di cui non hanno più bisogno. Forse il killer voleva insinuare che le donne che aveva ucciso non valessero più della comune spazzatura.
Desiderò essere stata presente anche lei lì con Bryers e il suo ex collega. Forse avrebbe avuto più elementi su cui indagare. Forse sarebbe riuscita a portare Bryers più vicino a un sospettato. Almeno era riuscita a dimostrarsi in gamba con la sua veloce intuizione sulle impronte di pneumatici.
Si voltò verso di lui e vide che se ne stava fermo in piedi ad osservare oltre il cancello. Le stava chiaramente lasciando il tempo per riflettere. Lei lo apprezzava, ma ancora una volta si sentì consapevole di essere una principiante.
Si avventurò verso la recinzione che circondava la discarica. Iniziò dal cancello dal quale accedevano i veicoli e proseguì verso sinistra. Stava esaminando la parte inferiore della rete quando un pensiero la colpì.
Sicuramente ha dovuto scavalcare la rete.
Quindi si mise a esaminarla. Non sapeva di preciso cosa cercasse. Magari della terra, oppure delle fibre incastrate nella rete. Qualunque cosa avesse trovato non sarebbe stato molto, ma sarebbe stato comunque qualcosa.
Passarono meno di due minuti prima che notasse qualcosa di interessante. Era così minuscolo che le era quasi sfuggito. Avvicinandosi, però, vide che poteva essere più utile di quello che aveva creduto.
Quasi due metri sulla sinistra del cancello, a circa un metro e mezzo di altezza, c’era un lembo di stoffa bianca impigliato nella maglia della rete metallica. Magari la stoffa in sé non sarebbe stata di grande aiuto, ma almeno avrebbe potuto fornire un’indicazione su dove iniziare a cercare impronte digitali.
“Agente Bryers?” chiamò.
Lui la raggiunse lentamente, come se non si aspettasse molto. Quando fu vicino, lo udì emettere un mmmh mentre osservava la stoffa.
“Ottimo lavoro, White” disse.
“Ti prego, chiamami Mackenzie” disse. “Oppure Mac, se ti senti coraggioso.”
“Secondo te cos’è?” le chiese.
“Forse niente. O forse un lembo di stoffa che appartiene a qualcuno che di recente ha scavalcato la recinzione. La stoffa in sé potrebbe essere inutile, ma ci dà un’area delimitata dove possiamo concentrarci per rilevare impronte digitali.”
“C’è un piccolo kit per la raccolta delle prove nel baule dell’auto. Andresti a prenderlo mentre io riferisco quello che abbiamo trovato?”
“Certo” disse lei, tornando alla macchina.
Quando tornò, stava già concludendo la telefonata. Bryers era sempre rapido ed efficiente. Era una delle cose che stava imparando ad apprezzare in lui.
“D’accordo, Mac” le disse. “Adesso seguiamo il tuo suggerimento di oggi. Il marito della vittima vive a circa venti minuti da qui. Sei pronta?”
“Certo” disse Mackenzie.
Risalirono in macchina e si allontanarono dalla discarica ancora chiusa. Sopra di loro volavano degli avvoltoi, osservando tutto ciò che accadeva con sguardo indifferente.
***
Caleb Kellerman aveva già ospiti due poliziotti quando Mackenzie e Bryers giunsero a casa sua. Viveva appena fuori Georgetown, in un’abitazione a due piani che era carina come prima casa. Pensare che i Kellerman erano stati sposati da poco più di un anno quando la moglie era stata assassinata fece sentire Mackenzie davvero dispiaciuta per l’uomo, ma anche arrabbiata per quello che era accaduto.
Una prima casa che non avrà mai la possibilità di vedere cos’altro sarebbe potuta diventare, pensò Mackenzie entrando. È estremamente triste.
Entrarono dall’ingresso principale, trovandosi in un piccolo atrio che si affacciava direttamente sul salotto. Mackenzie avvertì lo strisciante senso di solitudine e silenzio che riempiva gran parte delle case poco dopo un lutto. Sperava che prima o poi ci si sarebbe abituata, ma ne dubitava.
Bryers si presentò agli agenti, che sembrarono sollevati quando venne loro chiesto di farsi da parte. Una volta che se ne furono andati, Bryers e Mackenzie si recarono nel salotto. Mackenzie notò che Caleb Kellerman sembrava giovanissimo; con il viso sbarbato, la maglietta dei Five Finger Death Punch e pantaloncini mimetici extra large, sarebbe facilmente passato per un diciottenne. Mackenzie tuttavia riuscì a vedere oltre le apparenze, trovando sul volto del giovane un’indicibile sofferenza.
Lui alzò lo sguardo, in attesa che uno di loro due prendesse la parola. Mackenzie vide Bryers farle un lieve cenno del capo in direzione di Caleb Kellerman, suggerendole di procedere. Fece un passo avanti, terrorizzata ma al tempo stesso lusingata che le fosse concessa tanta autorità. O Bryers aveva molta fiducia in lei, oppure stava cercando di metterla a disagio.
“Signor Kellerman, io sono l’Agente White e questo è l’agente Bryers.” Esitò un istante. Si era appena definita l’Agente White? Suonava davvero bene. Accantonò quel pensiero e proseguì. “So che sta affrontando una perdita enorme e non fingerò di poterla comprendere” disse in tono pacato e caloroso, ma al tempo stesso deciso. “Tuttavia, se vogliamo catturare la persona che ha fatto questo, siamo costretti a farle delle domande. Se la sente?”
Caleb Kellerman annuì. “Qualunque cosa per fare in modo che chi ha fatto questo venga preso” disse. “Qualunque cosa.”
C’era rabbia nella sua voce e Mackenzie sperava che qualcuno gli avrebbe offerto assistenza psicologica nei giorni a venire. I suoi occhi avevano una luce quasi folle.
“Dunque, innanzi tutto devo sapere se Susan avesse dei nemici... chiunque potesse essere considerato un rivale.”
“C’erano alcune ragazze, ex compagne di classe delle superiori, con cui battibeccava su Facebook” disse Caleb. “Di solito però era a proposito di politica. E comunque nessuna di loro avrebbe fatto una cosa del genere. Si trattava solo di piccole discussioni e cose così.”
“E che mi dice del lavoro?” proseguì Mackenzie. “Le piaceva?”
Caleb scrollò le spalle. Tornò a sedersi sul divano tentando di rilassarsi. Il volto, però, rimase accigliato. “Le piaceva come a qualunque ragazza che dopo l’università trova un lavoro che non ha niente a che fare con la sua laurea. Riusciva a pagare le bollette e a volte prendeva extra niente male. Gli orari però erano uno schifo.”
“Conosceva i suoi colleghi?” chiese Mackenzie.
“No. Ne sentivo parlare quando mi raccontava qualcosa qui a casa, ma niente di più.”
Bryers intervenne. La sua voce pareva molto diversa nella quiete della casa, il tono più cupo. “Era una rappresentante, esatto? Per l’Università del Miglioramento?”
“Sì. Ho già dato alla polizia il numero del suo superiore.”
“I miei colleghi hanno già parlato con lui” disse Bryers.
“Non ha importanza” disse Caleb. “Non è stato nessuno che lavorava con lei ad ucciderla. Ve lo garantisco. So che può sembrare stupido, ma sento che è così. Tutti i suoi colleghi sono brave persone... nella nostra stessa situazione, cercano di pagare le bollette e arrivare a fine mese. Gente onesta, insomma.”
Per un attimo sembrò sul punto di piangere. Ricacciò indietro le lacrime, fissò il pavimento cercando di riprendersi, quindi risollevò lo sguardo. Le lacrime che era riuscito a fermare gli luccicavano agli angoli degli occhi.
“D’accordo, allora le viene in mente altro che potrebbe metterci sulla pista giusta?” domandò Bryers.
“Niente” disse Caleb. “Aveva con sé un elenco con le persone a cui avrebbe fatto visita quel giorno, ma non si riesce a trovare. Gli sbirri dicono che probabilmente l’ha preso e distrutto l’assassino.”
“Probabilmente è andata così” commentò Mackenzie.
“Io ancora non ci credo” disse Caleb. “Non sembra reale. Mi aspetto che entri da quella porta da un momento all’altro. Il modo in cui è morta... la giornata era iniziata come tutte le altre. Mi ha dato un bacio sulla guancia mentre mi vestivo per andare al lavoro e mi ha salutato. È andata alla fermata dell’autobus e basta, quella è stata l’ultima volta che l’ho vista.”
Mackenzie si accorse che Caleb stava per cedere e, anche se non le sembrava la cosa giusta da fare, c’era un’ultima domanda che voleva porgli prima che crollasse.
“Fermata dell’autobus?” chiese.
“Sì, tutti i giorni si recava in ufficio in autobus; prendeva quello delle otto e venti per arrivare in orario. La macchina ci ha lasciati a piedi due mesi fa.”
“Dove si trova la fermata?” volle sapere Bryers.
“A due isolati da qui” rispose Caleb. “È una fermata con la capannina.” Guardò Mackenzie e Bryers con un’improvvisa speranza che si affacciava nello sguardo, sotto il dolore e la rabbia.
“Perché? Credete che sia importante?”
“Non possiamo esserne certi” spiegò Mackenzie. “Ma le faremo sapere se impariamo qualcosa. Grazie del suo tempo.”
“Di niente” disse Caleb. “Ehi, ragazzi...?”
“Sì?” disse Mackenzie.
“Sono passati più di tre giorni ormai, vero? Tre giorni dall’ultima volta che l’ho vista e quasi due giorni da quando è stato scoperto il suo corpo.”
“Esatto” disse piano Bryers.
“Allora è troppo tardi? Quel bastardo la farà franca?”
“No” disse Mackenzie. Le era uscito di bocca prima che riuscisse a fermarlo e capì subito di aver commesso il suo primo errore con Bryers.
“Faremo tutto ciò che possiamo” disse Bryers, posando gentilmente una mano sulla spalla di Mackenzie per guidarla verso l’uscita. “La preghiamo di contattarci se le venisse in mente qualcosa di utile.”
Detto ciò, se ne andarono. Mackenzie provò un brivido quando udì Caleb non riuscire più a trattenersi e singhiozzare prima che si fossero chiusi la porta alle spalle.
Quel suono le fece provare qualcosa... qualcosa che le ricordava casa sua. L’ultima volta che aveva provato quella sensazione era stato quando cercava disperatamente di fermare il Killer dello Spaventapasseri, in Nebraska. Anche adesso, scendendo gli scalini d’ingresso di Caleb Kellerman, avvertì quel bisogno incontrollabile e comprese che non si sarebbe fermata davanti a niente pur di catturare l’assassino.
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