Adele espirò pesantemente, ascoltando il sommesso cigolio dei cardini mentre la porta di casa sua si chiudeva. Dopo quattro ore di ridicoli documenti e interrogatori, era felice di essere finalmente di nuovo a casa.
Premette un interruttore della luce e osservò lo spazio angusto mentre ruotava le spalle e sussultava sentendo un’improvvisa fitta di dolore. Adele si guardò il fianco e notò per la prima volta una macchia rossa sulla camicia bianca sotto alla giacca.
Si accigliò. Con un altro sussulto, scrutò il suo piccolo appartamento mentre andava al lavandino della cucina, sfilando rassegnata la camicia dalla cintura.
Un’altra casa. L’affitto andava di due mesi in due mesi. Restare nel vecchio appartamento le sarebbe risultato troppo costoso. Dopo che Angus se n’era andato, Adele semplicemente non prendeva abbastanza soldi per poter continuare a pagare l’affitto a SoMa, il quartiere di aggregazione di Angus e dei suoi amichetti informatici. Ora, dopo essersi trasferita a Brisbane, notava che il cambiamento non le dava per niente fastidio. Non era un posto rumoroso – e di questo doveva ringraziare i suoi vicini – anche se l’appartamento era poco più di una cucina, una TV e una camera da letto con bagno privato. Tutto quanto, addirittura anche il televisore, sapeva un po’ di muffa.
Ad ogni modo non era che lei passasse poi tanto tempo a casa.
Adele sussultò di nuovo mentre tirava la camicia fuori dalla cintura ed esaminava il lungo graffio sulla sua pelle. Fece una smorfia ricordando. Senza dubbio un regalino della rete di ferro.
“Maledetti dilettanti,” mormorò sottovoce.
L’agente Masse era giovane. Aveva finito l’addestramento solo pochi mesi prima. Adele dubitava di essere stata molto meglio durante il suo primo caso, eppure… questo era davvero stato un disastro. Sentiva la mancanza di John. L’ultima volta che si erano visti, però… si erano trovati impacciati. Ricordava la nuotata notturna nella piscina privata di Robert. Il modo in cui John si era chinato verso di lei, e come poi, quasi di riflesso, si era ritratto.
Adele si accigliò al pensiero, ma avrebbe voluto poter tornare indietro. Prese un pezzo di carta assorbente dalla mensola della cucina e fece scorrere l’acqua calda. Aprì l’anta sopra al frigorifero e ne tirò fuori una bottiglia di disinfettante. Vi inzuppò la carta e premette la medicazione improvvisata contro le costole, sussultando un’altra volta.
Andò all’unica sedia che c’era in cucina, infilata sotto al mezzo tavolo che si trovava tra il frigorifero e il fornello, e si sedette di fronte al muro, tamponando il graffio con il pezzo di carta assorbente pregno d’alcool. Alla fine, appoggiandosi allo schienale, sospirò profondamente.
Sovrappensiero, si voltò a guardare la porta alle sue spalle. Due chiavistelli e una catena ornavano la cornice di metallo, rimasuglio dei proprietari precedenti.
La sedia grattò contro il pavimento mentre lei si spostava e posava un gomito sul tavolo, fissando la superficie del legno liscio. Si spostò ancora, se non altro per sentire nuovamente un po’ di rumore. L’appartamento era così silenzioso. Quando abitava con Angus, c’era sempre stato almeno uno spettacolo alla TV, o qualche podcast che riverberava dalla sua stanza mentre lavorava a un progetto di decodificazione. Per il paio di settimane che aveva passato da Robert in Francia, si era spesso trovata nella stessa stanza in cui c’era il suo vecchio mentore, godendosi la sua compagnia accanto al fuoco, mentre lui leggeva un libro o ascoltava un concerto alla radio.
Ora però, nel piccolo e stretto appartamento di San Francisco… era tutto di nuovo tremendamente silenzioso.
Adele si spostò ancora una volta, ascoltando lo scricchiolio di protesta della misera sedia. Le venne in mente una frase della sua infanzia, una delle preferite di suo padre: “Le cose semplici appagano le menti semplici.” In una sorta di protesta fantasma, Adele oscillò sulla sedia, ascoltando un’ultima volta quello scricchiolio stranamente consolante, prima di stringere i denti, sempre premendosi la benda improvvisata sulla ferita. Poi si alzò in piedi e imboccò il corridoio.
“Maledetto Renee,” mormorò.
Jason Hernandez non sarebbe mai scappato se John fosse stato lì. La Francia le mancava. Dopo il colloquio con l’Interpol, aveva passato del tempo con Robert. Delle giornate interessanti, rigeneranti in un certo senso. Le avevano offerto un’opportunità di fare delle ricerche sull’assassino di sua madre.
Adele aprì la porta del bagno alla fine del corridoio e si mise davanti allo specchio. Era un bagno piccolo e stretto. La doccia era sufficiente, dato che erano quasi sei anni che Adele non faceva un bagno. Le docce erano molto più efficaci. Il sergente – suo padre – probabilmente non aveva fatto un bagno in tutta la sua vita.
Adele sospirò mentre si spogliava ed entrava nella doccia, aprendo l’acqua calda. Lo spruzzo era ancora tiepido. Un altro piccolo difetto del nuovo appartamento. La pressione dell’acqua non era un gran che, ma si sarebbe dovuta accontentare.
Mentre Adele stava sotto all’erogatore della doccia, chiuse gli occhi e permise alla sua mente di vagare, mettendo da parte gli eventi della giornata e tornando agli ultimi due mesi negli Stati Uniti.
Le parole rigiravano nella sua mente.
“… Onestamente, è buffo che tu te ne sia andata da Parigi, sai? Soprattutto considerato dove lavoravi.”
Sospirò mentre l’acqua le inzuppava i capelli e iniziava a gocciolarle dal naso e dalle guance in lenti scrosci irregolari che corrispondevano al getto intermittente dell’erogatore. Ma lei tenne gli occhi chiusi, ripensando ancora a quelle parole. Riecheggiavano – a volte addirittura durante il sonno – risuonando nella sua testa.
Era quello che aveva detto il killer.
Di nuovo in Francia. Un uomo che aveva fatto a pezzi le sue vittime e le aveva guardate morire dissanguate, indifese e da sole. Lei e John avevano catturato quel serial killer, ma non prima che avesse quasi assassinato anche suo padre. Aveva quasi ucciso anche Adele stessa, in effetti.
Quel bastardo venerava l’assassino di sua madre. Un altro assassino. Ce n’erano così tanti.
La fronte di Adele si aggrottò sotto al flusso dell’acqua mentre teneva serrati i pugni, le nocche premute contro la plastica bianca, fredda e scivolosa, che sembrava porcellana.
John aveva ucciso il serial killer prima che l’uomo finisse Adele, ma questo l’aveva solo lasciata con più domande. Da qualche parte dentro di lei quasi desiderava che fosse rimasto in vita.
Perché era così buffo che lei se ne fosse andata da Parigi? Quella frase ora la ossessionava. Continuava a girarsela e rigirarsela nella testa. Buffo che tu te ne sia andata da Parigi… soprattutto considerato dove lavoravi. Come se la stesse prendendo in giro. Stavano parlando dell’assassino di sua madre.
Parigi. Ora ne era quasi certa. L’assassino di sua madre aveva vissuto a Parigi. Forse ci viveva ancora. Avrebbe avuto, cosa, cinquant’anni? Adele scosse la testa, spruzzando goccioline d’acqua nella doccia e sul ripiano scivoloso.
Strinse i denti mentre altra acqua tiepida scendeva in getti irregolari.
In uno scoppio di frustrazione, girò la manopola a metà, ma l’acqua non si scaldò. Adele sbatté le palpebre, gli occhi che bruciavano contro i rigoli di liquido che le striavano le guance. Fissò con rabbia il pomello della doccia, la freccia che indicava l’estremità di un segno rosso.
“Allor ava bene,” mormorò.
Afferrò la manopola e la ruotò dall’altra parte. Piccoli stratagemmi raccolti nel tempo. L’acqua fredda cominciò a colpirle la testa, facendole venire la pelle d’oca sulle braccia. Nel giro di pochi istanti Adele iniziò a battere i denti e il dolore al fianco svanì lasciando spazio a un indolenzimento gelido mentre l’acqua da fredda diventava ghiacciata.
Ma lei rimase nella doccia.
L’assassino l’aveva presa in giro. Come se avesse saputo qualcosa. Qualcosa che a lei era sfuggito. Qualcosa che era sfuggito anche alle autorità. Cosa c’era di così importante nel suo posto di lavoro? Quella era la parte che la disturbava di più. Era come se… Scosse la testa, cacciando via il pensiero.
Ma… e se fosse vero?
E se il killer di sua madre fosse in qualche modo collegato al DGSI? Magari non l’agenzia stessa, ma l’edificio. Magari c’era una connessione. Altrimenti che altro senso potevano aver avuto le sue parole?
Soprattutto considerato dove lavoravi…
L’uomo che John aveva ucciso sapeva qualcosa dell’assassino di sua madre. Ma se l’era portato nella tomba. E il Killer di Picche, l’uomo che lui aveva tanto venerato, l’uomo che aveva ucciso sua madre, era ancora libero.
L’acqua fredda continuava a scorrere in mezzo alle sue scapole e lei fece qualche breve respiro rapido e ravvicinato in risposta a quella sensazione, ma ancora si rifiutò di spostarsi.
La prossima volta sarebbe stata più furba. Le avevano chiesto di far parte di una task force con l’Interpol in caso di necessità. Ma Adele non vedeva l’ora di tornare in Europa. La California le piaceva, e le piaceva anche lavorare con l’FBI, soprattutto con la sua amica, l’agente Grant, come supervisore. Ma il desiderio di risolvere l’omicidio di sua madre le richiedeva un certo livello di vicinanza geografica al luogo dei fatti.
Alla fine, spingendo un braccio contro la porta di vetro e annaspando, Adele ruotò il pomello della doccia.
La cascata di acqua ghiacciata cessò. Lei rimase tremante all’interno della cabina in vetro e plastica, mentre l’acqua le gocciolava dal corpo.
Chiunque avesse progettato quel bagno, aveva messo il porta-asciugamano sul retro della porta, dalla parte opposta della stanza. Ci volevano un paio di passi per raggiungerlo, e anche se lei aveva messo un tappeto da bagno sul pavimento per assorbire l’acqua, preferiva sempre aspettare un po’ nella doccia, in attesa che l’eccesso di acqua scivolasse giù, prima di uscire.
E quindi aspettò, pensando, meditando, tremando. Pensò a un’altra volta che si era trovata bagnata zuppa di acqua, anche lì tremante…
Un lampo di calore le pervase le guance. Pensò a quando aveva nuotato nella piscina di Robert. John era venuto per una serata…
Era insopportabile. Rude, odioso, fastidioso, per niente professionale.
Ma anche affascinante, disse una piccola parte di lei. Affidabile. Pericoloso.
Scosse la testa e uscì dalla doccia, facendo stridere la porta di vetro e metallo, mandandola a sbattere contro la parete gialla. Un paio di pezzettini di intonaco caddero dal soffitto. Adele sospirò, guardando in alto. Sotto alla pittura del muro si erano già formate delle macchie di muffa. Il proprietario precedente ci aveva tinteggiato sopra, nascondendo quindi il problema.
Magari avrebbe potuto mandare un messaggio a John.
No, sarebbe stato un atteggiamento troppo familiare. Un’email allora? Troppo impersonale. Una telefonata?
Adele esitò un momento e allungò la mano per prendere l’asciugamano e asciugarsi i capelli. Una chiamata poteva essere carina. Si asciugò poi lungo il fianco, sussultando ancora per il graffio.
Alcune ferite guarivano lentamente. Ma altre volte era meglio evitarle a priori, le ferite. Forse era meglio che non telefonasse a John.
La stanchezza le pesava sulle spalle mentre si dirigeva in camera da letto. Tre ore di straordinari, a compilare carte e a giustificare il motivo dello sparo, ora si stavano facendo sentire.
Era un pensiero orribile, ma Adele stava iniziando a sperare di avere presto un caso in Europa.
Magari qualcosa che non facesse troppo male a qualcuno. Giusto qualcosa che la tirasse fuori dalla California per un po’. Fuori da quel piccolo e angusto appartamento. C’era troppo silenzio. Per alcune persone, il rumore di altri esseri umani che si muovevano attorno, che si godevano le loro vite, era un rumore ristoratore. Teneva alla larga certi sprazzi di solitudine.
Adele sospirò ancora ed entrò nella sua stanza, preparandosi per andare a letto. Si sistemò una benda sul graffio e cercò di cacciare via ogni pensiero di astio nei confronti del suo nuovo partner. Si infilò a letto e rimase ferma lì qualche minuto.
In passato, lei ed Angus guardavano la TV prima di addormentarsi. A volte lui leggeva un libro, raccontandoglielo a voce alta riga per riga, in modo che anche lei se lo potesse sentire. Altre volte stavano solo lì abbracciati a parlare per ore prima di appisolarsi.
Ora però c’era solo lei lì sdraiata. Niente TV. Niente libri. Solo silenzio.
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