© И. Г. Константинова, составление, задания, комментарии, словарь, 2015
© КАРО, 2015
«Сказка ложь, да в ней намек – добрым молодцам урок!»
Как точно, тонко и кратко определил этот жанр великий русский поэт А. С. Пушкин! С детства знакомы всем его замечательные сказки, в основу которых он положил народную мудрость – фольклорные сказки.
Разного рода сказки, легенды, небылицы и фантазии есть практически у всех народов мира. В Италии их складывали и сочиняли устные сказители.
У итальянцев сказка тоже всегда неправда, вымысел, небылица, ложь, какая-нибудь невероятная история, которой никто не поверит, нечто фантастическое и в то же время очень заманчивое.
Не случайно появилось ироничное выражение: не жизнь, а сказка! Иными словами – этого не может быть!
Сказки, как правило, о животных, растениях, предметах, бывают самые разные – волшебные, фантастические, мифологические, былинные, исторические, новеллистические (бытовые), даже докучные, бесконечные, а также плутовские, авантюрные, социально-сатирические…
А уж о многообразии сказочных персонажей и говорить не приходится. Кого только не встретишь в сказках! Это и самые разные невиданные звери, и необычные люди, и мифические существа, и колдуны, и властители природы – Солнце, Мороз, Ветер, водяные и морские цари…
Для чего народ придумывал сказки?
Очевидно, для того, чтобы с помощью непостижимых с точки зрения реальной жизни действий и поступков персонажей тонко и ненавязчиво высмеять человеческие недостатки, слабости и пороки.
А свет, красота и тепло, исходящие от итальянских сказок, дарят чувство уверенности в том, что справедливость всегда восторжествует над бесчестьем, добро – над злом.
И счастливый конец в большинстве сказочных историй – это сбывшаяся мечта о том, что достойный человек непременно будет вознагражден счастьем.
Есть в итальянских сказках и одна особенность.
Почти всюду непременным ее персонажем предстает un Re – царь. Но здесь это не король, государь, монарх или верховный правитель земли, народа или государства в привычном понимании.
Итальянские литературоведы отмечают, что в народных сказках Италии этим словом, пусть даже написанным с заглавной буквы, обозначен отнюдь не правитель могущественной страны, а только богатый горожанин или владелец большого хозяйства, имения – un padrone. Вот почему другие сказочные персонажи легко и без задержек переходят от одного Re к другому – просто в соседний город или село – и всегда готовы жениться на их дочерях.
Книга, которую вы держите в руках, предлагает читателю окунуться в волшебный мир итальянских народных сказок, персонажи которых, конечно же, не всегда похожи на русских сказочных героев, но тем и привлекательны – самобытностью, своеобразием, красочностью.
В сборнике представлены сказки разных регионов Италии.
И. Константинова
Questa Berta era una povera donna che non faceva altro che filare,[1] perché era una brava filatrice.
Una volta, strada facendo,[2] incontrò Nerone, imperatore romano, e gli disse:
– Che Dio ti possa dare tanta salute da farti campare mille anni!
Nerone, che nessuno lo poteva vedere tant’era boia,[3] restò di stucco[4] a sentire che c’era qualcuno che gli augurava di campare mille anni, e rispose:
– E perché mi dici così, buona donna?
– Perché dopo uno cattivo ne[5] viene sempre uno peggiore.
Nerone allora le fece:[6]
– Be’, tutto il filato che farai da adesso a domani mattina, portamelo al mio palazzo. – E se ne andò.
Berta, filando, diceva tra sé: «Che ne vorrà fare di questo lino che filo? Basta che domani quando glielo porto non lo usi[7] come corda per impiccarmi alla forca! Da quel boia, c’è da aspettarsi di tutto!»[8]
Ecco che la mattina, puntuale, si presenta al palazzo di Nerone.
Lui la fa entrare, si fa dare tutto il lino che aveva filato, poi le dice:
– Lega un capo del gomitolo alla porta del palazzo e cammina fino a che è lungo il filo. – Poi chiamò il maestro di casa e gli disse: – Per quanto è lungo il filo, la campagna di qua e di là della strada, è tutta di questa donna.
Berta lo ringraziò e se ne andò tutta contenta.
Da quel giorno in poi non ebbe più bisogno di filare perché era diventata una signora.[9]
Quando la cosa si seppe per Roma, tutte le donne che avevano da mettere insieme il pranzo con la cena,[10] si presentarono a Nerone sperando anche loro in un regalo come quello che aveva fatto a Berta.
Ma Nerone rispondeva:
– Non è più il tempo che Berta filava.[11]
(Roma)
1. Chi incontrò Berta?
2. Che cosa donò la filatrice all’imperatore?
3. Cosa le donò Nerone?
4. Che augurio fece la filatrice?
5. Quale espressione diventò un proverbio?
С’era una mamma e una figlia, che tenevano una locanda nobile, dove si fermavano il Re e i Principi di passaggio.[12] La locandiera si chiamava la Bella Venezia, e mentre i viaggiatori sedevano a tavola attaccava discorso:[13]
– Da che paese venite?
– Da Milano.
– E ne avete vista una più bella di me, a Milano?
– No, bella più di voi[14] non ho visto nessuna.
Poi si facevano i conti:[15]
– Sarebbero dieci scudi, ma voi datemene cinque[16], – diceva la Bella Venezia, perché a ognuno che le diceva di non aver mai visto una più bella di lei, faceva pagare la meta.
– Da dove venite?
– Da Torino.
– E ce n’e qualcuna più bella di me, a Torino?
– No, più bella di voi non ne ho mai viste.
Poi, al momento di fare i conti:
– Sarebbero sei scudi, ma voi datemene tre.
Un giorno, la locandiera stava chiedendo come al solito a un viaggiatore:
– E l’avete mai vista, una più bella di me? – quando per la sala passò sua figlia. E il viaggiatore rispose:
– Sì che l’ho vista.
– E chi è?
– Vostra figlia, è.
Quella volta, la Bella Venezia, nel fare i conti:
– Sarebbero otto scudi, – disse, – ma voi datemene sedici.
La sera la padrona chiamò lo sguattero:
– Va’ in riva al mare, costruisci una capanna con solo una finestrella piccola piccola, e chiudici dentro mia figlia.
Così la figlia della Bella Venezia stava rinchiusa notte e giorno in quella capanna in riva al mare, sentiva il rumore delle onde ma non poteva veder nessuno, tranne lo sguattero che ogni giorno veniva a portarle pane e acqua. Ma pur rinchiusa là dentro, la ragazza diventava ogni giorno più bella.
Un forestiero passando a cavallo sulla riva del mare vide quella capannina tutta chiusa e s’avvicinò. Mise l’occhio al finestrino e vide nel buio quel viso di fanciulla, il più bello che avesse mai visto.[17] Un po’ impaurito, spronò il cavallo e corse via.
Alla sera, si fermò alla locanda della Bella Venezia.
– Da che paese venite? – gli chiese la locandiera.
– Da Roma.
– Avete visto mai una più bella di me?
– Sì che l’ho vista, – disse il forestiero.
– E dove?
– Chiusa in una capanna in riva al mare.
– Ecco il conto: fa dieci scudi ma da voi ne voglio trenta.
La sera, la Bella Venezia chiese allo sguattero:
– Senti, mi vuoi sposare?
Allo sguattero non pareva vero di poter sposare la padrona[18].
– Se mi vuoi sposare, devi prendere mia figlia, portarla nel bosco e ammazzarla. Se mi riporti i suoi occhi e una bottiglia piena del suo sangue, io ti sposo.
Lo sguattero voleva sì[19] sposarsi la padrona, ma d’ammazzare quella ragazza bella e buona non se la sentiva.[20] Allora portò la ragazza nel bosco e l’abbandonò, e per portare gli occhi e il sangue alla Bella Venezia, ammazzò un agnellino che è sangue innocente. E la padrona lo sposò.
La ragazza, sola nel bosco, pianse, gridò, ma nessuno la sentiva. Verso sera vide laggiù un lumino: s’avvicinò, senti parlare molta gente, e piena di paura si nascose dietro un albero.
Era un luogo roccioso e deserto, e dodici ladroni s’erano fermati davanti a una pietra bianca.
Uno di loro disse:
– Apriti, deserto! – e la pietra bianca s’aperse come un uscio e dentro c’era illuminato come un gran palazzo. I dodici ladroni entrarono e l’ultimo disse:
– Chiuditi, deserto! – e la pietra si richiuse alle sue spalle.
La ragazza nascosta dietro l’albero stette ad aspettare. Dopo un po’ una voce di dentro disse:
– Apriti, deserto! – La porta s’aperse, e i dodici ladroni uscirono in fila, fino all’ultimo che disse:
– Chiuditi, deserto!
Quando i ladroni si furono allontanati, la ragazza andò alla pietra bianca e disse:
– Apriti, deserto! – e le si aprì la porta illuminata. Entrò e disse: – Chiuditi, deserto!
Dentro c’era una tavola apparecchiata per dodici, con dodici piatti, dodici pani e dodici bottiglie di vino. E in cucina c’era uno spiedo con dodici polli da arrostire.[21] La ragazza fece pulizia dappertutto, rifece i dodici letti, fece arrostire i dodici polli. E siccome aveva fame mangiò un’ala ad ogni pollo, rosicchiò un cantuccio d’ogni pane, e bevve un dito di vino[22] da ogni bottiglia.
Quando sentì che tornavano i ladroni, si nascose sotto un letto. I dodici banditi, a trovar tutto pulito, i letti rifatti, i polli arrostiti, non sapevano cosa pensare. Poi videro che a ogni pollo mancava un’ala, a ogni pane un cantuccio, a ogni bottiglia un dito di vino, e dissero:
– Qui dev’essere entrato qualcuno.
E decisero che l’indomani uno di loro sarebbe rimasto a far la guardia.
Restò il più piccolo dei ladroni, ma si mise a far la guardia[23] fuori, e intanto la ragazza uscì di sotto al letto, rassettò tutto, mangiò le dodici ali di pollo, i dodici cantucci di pane e bevve le dodici dita di vino.
– Non sei buono a niente![24] – disse il capo quando tornando vide che la casa era stata di nuovo visitata,[25] e mise di guardia un altro.
Ma anche questo rimase fuor dalla porta, mentre la ragazza era dentro, e cosi, dandosi dello stupido ogni volta, tutti i ladroni provarono a far la guardia per undici giorni di seguito,[26] e non scoprirono la ragazza.
Il dodicesimo giorno, volle montar di guardia il capo e invece di[27] starsene fuori, rimase dentro, e vide la ragazza uscir di sotto al letto. L’agguantò per un braccio:
– Non aver paura, – le disse, – giacché ci sei, stacci.[28] Ti tratteremo come una sorellina.
Così la ragazza restò coi ladroni e faceva loro tutti i servizi, e loro le portavano ogni sera gioielli, monete d’oro, anelli e orecchini.
Il più piccolo dei ladroni amava vestirsi da gran signore per fare le sue rapine, e fermarsi alle meglio locande. Così una sera andò a mangiare dalla Bella Venezia.
– Da dove venite? – gli chiese la locandiera.
– Dal fondo del bosco, – disse il ladrone.
– E avete mai visto una più bella di me?
– Sì che l’ho vista, – disse il ladrone.
– E chi è?
– È una ragazza che abbiamo con noi.
Così la Bella Venezia capì che sua figlia era ancora viva.
Alla locanda veniva ogni giorno a chieder l’elemosina una vecchia, e questa vecchia era una strega. La Bella Venezia le promise metà delle sue ricchezze se riusciva a trovare sua figlia ed ammazzarla.
Un giorno la ragazza, mentre i ladroni erano via, stava cantando alla finestra, quando passò una vecchia che disse:
– Vendo spille! Vendo spille! Bella ragazza, mi fai salire? Ti faccio vedere uno spillone per il capo che è una meraviglia!
La fece salire, e la vecchia, con l’aria di mostrarle[29] come le stava bene uno spillone nei capelli, glielo ficcò nel cranio.
La ragazza morì.
Quando tornarono i ladroni e la trovarono morta, scoppiarono tutti in lagrime, pur col cuore peloso[30] che avevano. Scelsero un grande albero dal tronco cavo e la seppellirono nel tronco.
Il figlio del Re andava a caccia. Sentì i cani abbaiare, li raggiunse; erano tutti a raspare con le zampe sul tronco di un albero.
Il figlio del Re ci guardò dentro e trovò una bellissima ragazza morta.
– Se tu fossi viva, ti sposerei,[31] – le disse il figlio del Re, ma anche morta non posso staccarmi da te.
Suonò il corno, radunò i suoi cacciatori, e la fece portare a palazzo reale. La fece chiudere in una stanza, senza che la Regina sua madre ne sapesse e passava la giornata in quella stanza, a contemplare la bella morta.
La madre, insospettita, entrò nella stanza all’improvviso.[32]
– Ah! E’ per questo che non volevi uscire! Ma è morta! Che te ne fai?[33]
– Morta o non morta, non so vivere lontano da lei![34]
– Almeno falla pettinare![35] – disse la Regina, e fece chiamare il Real Parrucchiere.
Il Real Parrucchiere cominciò a pettinarla, e gli si ruppe il pettine. Prese un altro pettine e gli si ruppe anche quello. Così, uno dopo l’altro, ruppe sette pettini.
– Ma cos’ha in testa questa ragazza? – chiese il Real Parrucchiere. – Voglio guardarci. – E toccò una capocchia di spillone. Tirò piano piano, e man mano che tirava lo spillone, la giovane ripigliava i colori[36], e aperse gli occhi, sospirò, respirò, disse:
– Oh! – e s’alzò in piedi.
Si fecero le nozze. Tavolate anche per le vie.[37] Chi voleva mangiare mangiò e chi non voleva non mangiò.
Ah Signore!
Una gallina a ogni peccatore!
A me che sono peccatoraccio,[38]
Una gallina e un gallinaccio!
(Abruzzo)
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