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Адаптация текста, комментарии, упражнения и словарь А. И. Ной
© Ной А. И., адаптация текста, комментарии, упражнения, словарь, 2024
© ООО «Издательство АСТ», 2024
C’era una volta[1] un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, che d’inverno si mettono nelle stufe per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Un bel giorno questo pezzo di legno è capitato nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, sennonché[2] tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via[3] della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
Appena maestro Ciliegia ha visto quel pezzo di legno, si è rallegrato tutto e ha borbottato a mezza voce:
– Questo legno è capitato a tempo[4]; voglio fare una gamba di tavolino.
Detto fatto[5], ha preso subito l’ascia arrotata per cominciare a levare la scorza e a digrossare; ma quando era lì per lasciare andare la prima asciata, è rimasto col braccio sospeso in aria, perché ha sentito una vocina sottile, che detto:
– Non mi picchiare tanto forte!
Figuratevi come è rimasto quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
Ha girato gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non ha visto nessuno! Ha guardato sotto il banco, e nessuno; ha guardato dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; ha guardato nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; ha aperto l’uscio di bottega per dare un’occhiata[6] anche sulla strada, e nessuno. O dunque?..
– Ho capito; – ha detto allora ridendo, – si vede che quella vocina me la sono figurata io[7]. Rimettiamoci a lavorare.
E ha ripreso l’ascia in mano, ha tirato giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.
– Ohi! tu mi hai fatto male! – ha gridato la solita vocina.
Questa volta maestro Ciliegia è restato con gli occhi fuori del capo per la paura, con la bocca spalancata e con la lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana[8].
Appena ha riavuto l’uso della parola, ha cominciato a dire:
– Ma di dove è uscita questa vocina che ha detto ohi?.. Eppure qui non c’è anima viva. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco… Se c’è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui.
E ha agguantato con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e ha posto a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.
Poi si è messo in ascolto[9], per sentire se c’era qualche vocina. Ha aspettato due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!
– Ho capito; – ha detto allora, – si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io! Rimettiamoci a lavorare.
Intanto ha preso in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giù, ha sentito la solita vocina che gli ha detto ridendo:
– Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo!
Questa volta il povero maestro Ciliegia è caduto giù come fulminato. Quando ha riaperto gli occhi, si è trovato seduto per terra.
Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, è diventata turchina dalla gran paura.
In quel punto qualcuno ha bussato alla porta.
– Passate pure, – ha detto il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.
Allora è entrato in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato lo chiamavano col soprannome di Polendina[10], a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.
Geppetto era bizzosissimo. Guai[11] a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia.
– Buon giorno, mastr’Antonio, – ha detto Geppetto. – Che cosa fate per terra?
– Insegno l’abaco alle formicole.
– Buon pro vi faccia.
– Chi vi ha portato da me, compare Geppetto?
– Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che sono venuto da voi, per chiedervi un favore.
– Eccomi qui, pronto a servirvi, – ha replicato il falegname, rizzandosi su i ginocchi.
– Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea[12].
– Sentiamola.
– Ho pensato di fabbricare un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sa ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchiere di vino: che ve ne pare?
– Bravo Polendina! – ha gridato la solita vocina.
A sentirsi chiamare Polendina, compare Geppetto è diventato rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli ha detto imbestialito:
– Perché mi offendete?
– Chi vi offende?
– Mi avete detto Polendina!..
– Non sono stato io.
– Sta’ un po’ a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.
– No!
– Sì!
– No!
– Sì!
E riscaldandosi sempre più, sono venuti dalle parole ai fatti, si graffiavano e si mordevano.
Finito il combattimento, mastr’Antonio si è trovato fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si è accorto di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.
– Rendimi la mia parrucca! – ha gridato mastr’Antonio.
– E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace.
I due vecchietti hanno stretto la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.
– Dunque, compar Geppetto, – ha detto il falegname in segno di pace fatta – qual è il piacere che volete da me?
– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?
Mastr’Antonio, tutto contento, è andato subito a prendere sul banco quel pezzo di legno. Ma quando era lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno ha dato uno scossone e è andato a battere con forza negli stinchi del povero Geppetto.
– Ah! gli è con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? Mi avete quasi azzoppito!..
– Vi giuro che non sono stato io!
– Allora sarò stato io!..
– La colpa è tutta di questo legno…
– Lo so che è del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!
– Io non ve l’ho tirato!
– Bugiardo!
– Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!..
– Asino!
– Polendina!
– Somaro!
– Polendina!
A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si è avventato sul falegname.
A battaglia finita, mastr’Antonio si è trovato due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Hanno pareggiato in questo modo i loro conti, si sono stretti la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.
Intanto Geppetto ha preso con sé il suo bravo pezzo di legno, ha ringraziato mastr’Antonio, è ritornato zoppicando a casa.
La casa di Geppetto era una stanzina terrena. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo.
Appena entrato in casa, Geppetto ha preso subito gli arnesi e si è posto a fabbricare il suo burattino.
– Che nome gli metterò? – ha detto fra sé e sé[13]. – Lo voglio chiamare Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna.
Quando ha trovato il nome al suo burattino, allora ha cominciato a lavorare, e ha fatto subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi.
Figuratevi la sua meraviglia quando si è accorto che gli occhi si movevano e che lo guardavano.
Geppetto ha detto con accento risentito:
– Occhiacci di legno, perché mi guardate?
Nessuno ha risposto.
Allora, dopo gli occhi, ha fatto il naso; ma il naso, appena fatto, è cominciato a crescere: e cresci, cresci, cresci, è diventato in pochi minuti un nasone.
Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciava, e più quel naso diventava lungo.
Dopo il naso ha fatto la bocca.
La bocca non era ancora finita di fare, che ha cominciato subito a ridere.
– Smetti di ridere! – ha detto Geppetto impermalito; ma era come dire al muro.
– Smetti di ridere, ti ripeto! – ha urlato con voce minacciosa.
Allora la bocca ha smesso di ridere, ma ha cacciato fuori[14] tutta la lingua.
Geppetto, per non guastare i fatti suoi, ha finto di non avvedersene, e ha continuato a lavorare.
Dopo la bocca, ha fatto il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.
Appena finite le mani, Geppetto ha sentito portarsi via la parrucca dal capo. Si è voltato in su e che cosa ha visto? Ha visto la sua parrucca gialla in mano del burattino.
– Pinocchio!.. rendimi subito la mia parrucca!
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, l’ha messa in capo per sé.
A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto ha detto a Pinocchio:
– Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancare di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!
E si è rasciugato una lacrima.
Quando Geppetto ha finito di fare i piedi, ha sentito arrivarsi un calcio sulla punta del naso.
– Me lo merito! – ha detto allora fra sé. – Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi!
Poi ha preso il burattino sotto le braccia e l’ha posato in terra, per farlo camminare.
Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.
Quando le gambe erano sgranchite, Pinocchio ha cominciato a camminare da e a correre per la stanza; finché è saltato nella strada e è scappato.
E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti.
– Piglialo! piglialo! – urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva.
Alla fine è capitato un carabiniere il quale, si è piantato coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto[15] di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.
Ma Pinocchio, quando si è avveduto da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, si è ingegnato di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece era fiasco.
Il carabiniere l’ha acciuffato per il naso e l’ha riconsegnato nelle proprie mani di Geppetto; il quale voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come è rimasto quando non è riuscito di poterli trovare: e sapete perché? Perché si è dimenticato di farglieli.
Allora l’ha preso per la collottola[16], e gli ha detto:
– Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti[17]!
Pinocchio si è buttato per terra, e non voleva più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello[18].
Chi ne diceva una, chi un’altra[19].
– Povero burattino! – dicevano alcuni, – ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo piccherebbe quell’omaccio di Geppetto!..
E gli altri soggiungevano:
– Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno con i ragazzi!
Insomma, il carabiniere ha rimesso in libertà Pinocchio, e ha condotto in prigione Geppetto. Il quale, non avendo parole lì per lì[20] per difendersi, piangeva come un vitellino, e balbettava:
– Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!..
Quello che è accaduto dopo, è una storia così strana da non potersi quasi credere, e la racconterò in questi altri capitoli.
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